«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VII - n° 4 - 30 Settembre 1998

 

Memoria - Archivio

 

Tra Asiago e Piave (1918)

Solstizio di fuoco tra Asiago e Piave nel giugno del 1918
verso la rivincita di Vittorio Veneto

 

Durante quella battaglia l'eroico Francesco Baracca abbracciò la morte per denunciare con il suo sacrificio la disumanità di colui che «dormì» la notte di Caporetto, ma poi -nel 1943- anche in quelle dell'assassinio di Ettore Muti della «resa incondizionata» al nemico

Dall'epoca più remota dell'istoriografia, i fiumi hanno sempre vivacizzato le molteplici saghe che rinverdiscono in ciascuno la memoria e l'interpretazione kantiane del Fato, il valore dell'eroismo qualificante le personalità con tenace coscienza e specificato anche da T. Carlyle con "Gli Eroi, il Mito degli Eroi e l'Eroismo nella Storia (1814)" che, insieme al culto antropologico di Civiltà evidenziato da "Ars Magna" di R. Llulli (1235 - 1315), posero in risalto il sillogismo effettivo dello spazio storico. Tale parafrasi, sull'apporto dei fiumi ai cambiamenti della Storia, alletta l'esegesi a compendio della più ampia realtà storica, che abbiamo esaminato in parte ("Tabularasa", Anno VII, n° 3/1998, rubrica "Memoria-Archivio") nel mancato compimento di vittoria finale delle prime undici battaglie dell'Isonzo condotte dal gen. Luigi Cadorna contro il cuore danubiano della monarchia austro-ungarica, che esaltarono l'ardimento dei Soldati in grigioverde, ma non travolsero le capacità avversarie di resistenza.

Dai sincronismi tra il mito dei fiumi e il sopravanzare dell'eccelso nell'ardimento eroico, si eleva dall'Averno carsico -laddove il favoloso Timavo si protende sull'Amarissimo- la figura del maggiore Giovanni Randaccio, Lupo di Toscana del 77° Rgt. Fanteria, che dopo avere conquistato la vetta di Veliki-Kribach ed issato il Tricolore sul Dosso Faiti, a fine maggio 1917 salvò un battaglione del 149° Fanteria a Quota 28 minacciato da un contrattacco austriaco difendendo un'angusta passerella sulle. acque del fiume, ma individuato dal nemico fu colpito con raffiche di mitraglia. La bandiera che portava, per il segnale di un'altra conquista, divenne invece la sua coltre funerea.

Per questa immolazione, a Randaccio -già promosso per meriti di guerra, pluridecorato al valore- fu conferita la Medaglia d'Oro e G. D'Annunzio narrò come a questo intrepido combattente «era riservata anche la magnanimità dell'elezione al patimento, perché durante il trasporto in barella un tiro meglio aggiustato ferì di nuovo il maggiore e due portantini, che abbandonarono le stanghe. Il peso sanguinante urtò le pietre e risanguinò ...».

 

Filippo corridoni, «fante d'Italia»

A Redipuglia, chi sale il Colle Sant'Elia -dove sorse il cimitero degli Invitti- trova l'epigrafe d'un Soldato Ignoto, esplicita: «Che t'importa il mio nome? Grida al vento "Fante d'Italia!" e dormirò contento», abbracciando nella sua gloria tutti i Soldati in grigioverde allora operanti sull'intero Isonzo, insieme ai 100.187 Caduti ivi raccolti, ai 57.201 d'Oslavia, ai 7.014 di Caporetto, nonché quelli avversari.

Infatti, sul San Michele (il monte dalle quattro sommità) Emanuele Filiberto duca d'Aosta -comandante della IIIª Armata- dopo la conquista della vetta, fece collocare quest'insegna: «Su queste cime, Italiani e Ungheresi -combattendo da prodi- si affratellarono nella morte. Luglio MCMXV - Agosto MCMXVI» ed i magiari, inviando una corona di fiori con nastri tricolori, risposero: «Gli Honved ai camerati Italiani, ammirati nella lotta, compianti nella tomba».

Ma andiamo alla «trincea delle Frasche», dove il sindacalista rivoluzionario Filippo Corridoni combatté da volontario nel 32° Rgt. Fanteria e sulla quale -durante l'assalto agli avamposti nemici- il 23.10.1915 cadde a 28 anni, meritando la Medaglia d'Oro. Su ciò, S. Bargellini nel 1917 nel volume Gli uomini della guerra "1914-1915-1916"... narra con quanto spirito di sacrificio F. Corridoni affrontò anche le sue battaglie politiche e sindacali. Nel 1907, al «Circolo giovanile socialista» di Milano intervenne, insieme a Maria Rygier, precisando: «Ho patito fame, freddo, dileggi, vituperi, mortificazioni senza mostrare a nessuno i miei patimenti. Ho fatto tutti i mestieri nell'esilio doloroso, dal manovale di muratore al venditore di castagne... Ebbene, malgrado ciò, eccomi qua con la mia fede intatta, pronto ad infilare ancora una volta la "Via Crucis" per il trionfo delle mie idee immortali». Bargellini -per tutti- aggiunse: «La morte di Corridoni fu commemorata in tutti i sodalizi popolari e il suo esempio servì nelle masse ad annullare l'effetto deleterio che i genossen d'Italia producevano... Mai, come in questa occasione, i capi del partito socialista officiale ricevettero migliore lezione».

 

Chi davvero dormì sopra Caporetto?

Poco dopo, con l'offensiva di Below -perduta Caporetto- nella ritirata verso il Montello, ci fu l'attimo del Tagliamento (autunno 1917) quando la nostra Cavalleria s'irradiò nella pianura friulana per frenare l'avanzata nemica: i cap. G. C. Castelbarco e E. Lajolo, il ten. C. Castelnuovo della Lanze ottennero la Medaglia d'Oro negli scontri impetuosi con le avanguardie nemiche.

Ma fu quella -soprattutto- l'ora fatidica del Piave e del suo aiutante migliore, la Cima Grappa (1775 slm), che si inserirono insieme all'altopiano dei Sette Comuni (Asiago ecc.) nella Storia nazionale quali fulcri naturali d'abnegazione.

Per realizzare tali capisaldi, qualcuno deve essersi impegnato!

Sul quotidiano "Il Tempo" (Anno LIV, n° 294 del 25.10.1997) nell'articolo "Caporetto, la sconfitta dei generali" di G. Palumbo è stato annotato che la notte del 24 ottobre 1917, quella in cui venne travolta la IIª Armata italiana del gen. L. Capello, soltanto Cadorna e Badoglio dormirono, mentre -a suo avviso- è... certo che sarebbe stato facilissimo bloccare immediatamente l'avanzata delle forze nemiche parecchio pressanti. In realtà, non riuscendo più l'Austria-Ungheria a sostenere la fronte italiana a causa delle continue spallate offensive di L. Cadorna con le undici battaglie dell'Isonzo (S. Labanca, "Caporetto - Storia di una disfatta", 1997) invocò il soccorso militare della Germania che gli inviò col gen. Otto von Below («punta di diamante» della strategia prussiana, sconosciuto dallo Stato maggiore italiano) alcune Divisione tedesche di prim'ordine.

Cosicché, a parte il fatto che Pietro Badoglio in ogni notte cruciale della sua carriera e degli avvenimenti più drammatici d'Italia -di cui fu responsabile- ha sempre dormito sodo (lo fece anche nel 1943, in quella dei 24 agosto quando nella pineta di Fregene venne assassinato alle spalle la Medaglia d'Oro Ettore Muti, poi nella successiva dell'8 settembre -allorché affogò l'Italia nell'ignominia del tradimento- con la resa incondizionata al nemico), può anche darsi che L. Cadorna si assopisse, ma se non ebbe l'arguzia tattica d'intuire le operazioni strategiche di von Below è ben altra dissertazione, perché la tecnica operativa della Blitzkrieg (la «guerra lampo») è basata -oltre all'acutezza della scuola prussiana di strategia- sulla teoria fondamentale di forza morale e d'equilibrio psicologico (C. Jean, "I tre fattori di potenza", 1994) che sulle trincee dall'Adamello al Carso nessuno sperimentò, mentre quella di logoramento (la Ausblutungskrieg), dal 24 maggio 1915 in poi, fu la preferita tanto dagli Italiani quanto dagli Austriaci.

 

La «strada Cadorna» sulla Cima grappa

Per potenziare le difese italiane, Cadorna s'impegnò già nel 1916: lo conferma la pubblicazione "Sui campi di battaglia, il Monte Grappa" (edita dal TCI, dicembre 1928, VII E.F.) in cui si precisa che «nell'estate stessa del 1916, data la possibilità d'una ripresa ed estensione dell'offensiva austriaca sugli Altipiani (quelli di Asiago, N.d.R.) si pensò di predisporre sul Grappa che domina la zona orientale dei Sette Comuni, delle opere militari che furono costruite nello stesso anno e nel 1917; quand'ecco, alla fine del 1917, non da Ovest come si temeva, ma dal Nord e dall'Est si abbatté sul massiccio la furia dell'invasore e cominciò l'epopea del Grappa».

Quella camionale Cadorna che si snodò -lungo km 25.5- da Romano Alta sino alla vetta tra il Pasubio e Ponte di Piave, fu la principale via di trasporto e di rifornimento in tale settore. Concludiamo tale chiarimento, esaminando "I ragazzi del '99" (volume presentato da A. Liguori - direttore de "Il Tascapane" - nel 1974) a pag. 86 con la seguente osservazione: «Vi sono nella vita di comando di Luigi Cadorna delle tabelle di marcia che nessuno dei sedicenti storici potrà mai falsificare ai fini della politica. Il suo nome è legato alla vittoriosa resistenza all'offensiva austriaca del 1916, all'azione su Gorizia, alla battaglia della Bainsizza, alla preparazione della difesa del Piave. Si dirà: nella sua vita c'è anche Caporetto. Ma la verità vera, o meglio la verità completa su Caporetto, non è mai stata scritta».

C'è un'altra esortazione storica però, da indicare. Nonostante il cupo crepuscolo -dopo Caporetto- dell'anno 1917, sebbene ancora convalescente delle ferite riportate a quota 144 sul Carso, Mussolini lanciò un vigoroso appello ai compagni delle battaglie affrontate insieme e su "Il Popolo d'Italia" (Anno IV, n° 300 del 29.10.1917) invocò: «Si rinnovi con lealtà il patto della concordia nazionale attraverso l'unità di animi, perché si può col concorso di varie circostanze vincere un esercito -e il nostro non sarà mai vinto- ma quando dietro l'esercito c'è la Nazione, il tentativo nemico è destinato a fallire. E fallirà!».

Inaugurato il 22 settembre 1935, il Cimitero Monumentale degli Italiani che sulla vetta dominante Bassano onora il Santuario della Madonnina del Grappa, la tomba del gen. Giardino -ultimo comandante della IVª Armata- insieme ai resti di 2.280 Caduti noti e di 10.119 Ignoti tutti italiani, mentre più avanti della via Eroica e del Museo si trova quello austro-ungarico con 292 Salme di militari riconosciuti e altre 8.068 di Ignoti, è la conferma con quanta determinazione quei combattenti -al momento cruento della prova- non dormirono!

Quindi, l'appello «a non mollare!» del generalissimo delle 11 battaglie dell'Isonzo fu ascoltato e al gen. Armando Diaz -suo successore al comando delle FF.AA. italiane- risultò più semplice preparare i Soldati in grigioverde alla riscossa.

Si deve altresì annotare che in quel terribile 1917, mentre la stanchezza e le sofferenze minacciavano il sopravvento sulla capacità di resistenza dei soldati combattenti e dei cittadini, la rivoluzione bolscevica in Russia e l'intervento statunitense nel conflitto non sopraffecero la coscienza nazionale degli Italiani e dalle sue remote origini derivò la volontà per la vittoria e per la pace. Dal «vate» fiorentino Dante Alighieri venne l'incitamento sublime, cioè: «Che una favilla sol della lor gloria / Possa lasciar alla futura gente» (Divina Commedia, Paradiso, XXXIII, v. 7172) la certezza e l'orgoglio dello Stato-Nazione.

 

Piave e Montello erma di F. Baracca

Così, sulla vetta della IVª Armata il motivo dello storico massiccio («Monte Grappa, tu sei la mia Patria...») distinse l'elegia dei coraggiosi, a valle la «Canzone del Piave» fece da suggello lirico alla crudezza della «battaglia del Solstizio» (15-23 giugno 1918) che costò all'Italia la perdita di 85.260 Soldati (6.111 Caduti, 27.653 feriti, 51.645 dispersi) e all'Austria-Ungheria quella di 142.000 militari (11.645 morti, 80.852 feriti e 25.547 dispersi), con riflessi in ogni settore della fronte.

Eppure, come precisò A. Horne su "Il prezzo della gloria - Verdun 1916" (1962), fu il capitano La Tour du Pin -Le Creuset- a levare l'esaltazione più avvincente di tanti sacrifici: «Quando l'ho conosciuta (la guerra) l'ho amata appassionatamente... Non cesserò mai di amarla, per tutto lo splendore di cui ha rivestito i più umili».

Ottant'anni orsono, quell'Obbedienza alla gloria di sacrificio distinse il 1918 con il conferimento di 86 Medaglie d'Oro ai Soldati in grigio verde (64 per Caduti, 22 a sopravvissuti), più molte altre decorazioni al Valore Militare che ebbe nel Maggiore pilota Francesco Baracca uno degli esempi più fulgenti, che abbatté 34 velivoli nemici, ottenendo la Promozione per merito di guerra, la Croce di cavaliere dell'Ordine di Savoia, tre Ricompense d'Argento, una di Bronzo e infine quella d'Oro nel 1917 (Bollettino ufficiale disp. 32a, 1918) che lo riconobbe primo pilota e campione indiscusso di abilità e di coraggio.

Ciò non impedì però, il 19.6.1918, a Pietro Badoglio e al gen. Bongiovanni di rimproverare all'aviatore di Lugo di essere rientrato anzitempo alla base di Quinto a Treviso, sebbene avesse abbattuto poco prima due aerei austriaci tra il Montello e le Grave di Papadopoli (M. Alturai, "La Marca trevigiana nella guerra 1915-1918", 1983) cosicché -quale atto d'accusa verso la disumanità dei suoi comandanti- riparti col suo SPAD XIII verso l'abbazia del Montello, dove la solita «pallottola vagante» di qualche spietato «cecchino» uccise Baracca mentre mitragliava il nemico a bassa quota. Tale particolare, fatto risaltare da E. Bucciol ("Noria", Oderzo, 1987), fu evidenziato da G. d'Annunzio nella sua orazione funebre per l'asso della caccia italiana, specificando che la vita, per essere vissuta, abbisogna anche di umanità.

Nel novembre 1918 si concluse anche la Grande Guerra. Ai vinti furono imposti non trattati per la pace, ma in funzione di «diktat» economici che imprigionavano la produttività del vecchio Continente all'egemonia strozzina del dollaro USA e della sterlina inglese.

All'Italia vittoriosa rimasero soltanto Trento e Trieste!

 

Bruno De Padova

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