«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VII - n° 4 - 30 Settembre 1998

 

Novanta giorni con me

 

 

1)  C'era ancora una cosa, che non avevo mai fatto: quella di scrivere un diario. Direi meglio, cominciare a scrivere; tentar di scrivere un diario, conoscendomi. La puntuale correttezza d'una scrittura giornaliera, non di un falso diario, irregolare, su pagine inesorabilmente datate in cui accadimenti e riflessioni risultassero affastellati come i conguagli di certi stipendi ministeriali, anziché seguire un ordine obbligatorio dal quale deriva il nome stesso dell'impresa, sempre mi scoraggiò. Inoltre mi avevano accusato di non saper essere altro che autobiografico ed egocentrico, qualunque fosse il mio discorso, sia orale che scritto; ora, come potevo, se proprio diario doveva essere, raddoppiar la dose di questo dannato solipsismo? Questa volta, però, il momento sembrava opportuno, dato che l'anno prossimo potrei anche non esserci.

 

2) Scusate; come faccio a non parlar di me? I prescritti documenti ci sono, giusto come vuole un'autobiografia nient'affatto romanzata, dove il vero protagonista occhieggia tra le righe... e non è una persona. Di certo e per conseguenza, non sarà, né potrà essere un diario tirato per le lunghe. Dal punto di vista letterario, dunque, un'operetta finalmente concreta. Così mi feci, sempre conoscendomi, la prima promessa della mia vita: ogni sera, nel silenzio del maniero dove abito, sotto l'assonnato ma inflessibile controllo dei miei Terranova, andrò annotando, in uno spazio delimitato a priori, tutto quello che sembrerà degno d'essere ricordato se non proprio da me, almeno da chi scoprirà, poi, che io avevo cominciato («Perché non ne fece parola?») a scrivere un diario, un testo votato al ritegno intimistico, non al consueto protagonismo estroverso, vanaglorioso.

 

3) Insomma, queste pagine sono egoisticamente destinate a chi le scrive; hanno valore di esperimento e conterranno gli scampoli delle mie commozioni; specie di ritagli colorati, che non sento di buttar via e li ammucchio nel ripostiglio della memoria. Per esempio, lo sconforto d'una risposta, che mi fece piangere rabbiosamente: «Caro Santini, abbiamo letto con interesse il dattiloscritto del suo romanzo; si tratta d'un libro per palati troppo fini, che nessun editore correrà il rischio di stampare». Contro la gioia d'una lettera ben diversa, dove la mia fedele lettrice torinese diceva: «Il titolo è meraviglioso, promette capitoli stupendi, che lei saprà comporre con arte e con amore. Non abbia fretta; la freschezza ideologica del suo sogno non può appassire».

 

4) Sto diventando intransigente; non voglio la saggezza nemmeno affettuosa, degli ottimisti; anche i sogni vanno a male, nel chiuso dei cassetti. In quanto vecchio, c'è in un paese vicino una ragazza che sostiene di scrivere sotto dettatura degli angeli. Vuole da me un giudizio sopra i suoi deliranti, ponderosi quaderni. L'ho malvagiamente stroncata, perché il suo angelismo letterario frantuma in particelle singole l'universalità indivisibile dello Spirito del Mondo, in cui soltanto credo. Bestemmia il sacro silenzio, ch'è appunto degli angeli; posto ch'esistano. Meraviglia la mia freddezza, ho altri interessi e preoccupazioni.

 

5) D'altra parte, non faccio notizia, nessuno mi conosce veramente. Un grosso personaggio politico, imputato in concorso esterno in associazione mafiosa, viene tenuto sotto controllo da uno staff di specialisti di fama internazionale. Ha lo stesso male mio, cioè caratterizzato da una discreta, indolore lentezza; un male inesorabile quanto tranquillo. Del mio «vero protagonista» nessuno parla; anzi, sarebbe di cattivo gusto parlarne per dargli, come una volta avrei fatto, importanza e tono. Soltanto un giovane medico segue il mio male e siamo diventati amici. Ecco, è di amicizia che ho bisogno, non di notorietà. Ho trovato; i diari servono all'autocritica senile.

 

6) Che importa? La mia unica, duratura fortuna continua ad essere «Piccola Nuvola». Non so, infatti, come possa permettermi quella specie di voglia di piccola guerra domestica, ch'è il continuo richiamo all'ordine nella disposizione degli oggetti (ne possediamo centinaia, in qualità di soprammobile-ricordo), nonché alla vuotatura dei portacenere, disseminati con esotico disordine, sempre pieni. Sono, in questo caso, un pignolo fiscale; nient'affatto virtuoso, kantianamente parlando, per non aver mai fumato. «Piccola Nuvola» potrebbe farmelo notare; evita di controbattermi. È il suo stile asiatico, ma niente di me le sfugge mai.

 

7) Un altro grande e sincero affetto sta rendendo felice la mia solitudine: è «Loulou», la bastardina locale, che dalla piazza del paese abbiamo promossa agli agi del castello, nonostante la pericolosa sopportazione delle due grandi, nerissime, ben note femmine di nordica razza. La differenza quantitativa tra l'ultima arrivata e le due «titolari» raggiunge i cinquanta chilogrammi a testa. L'atteggiamento di sufficienza, perciò, non promette nulla di buono; eppure «Loulou» sta insegnandoci che la ponderosa classe non è indice rigido di differenziazione.

 

Florio Santini

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