«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VII - n° 4 - 30 Settembre 1998

 

Quell'immenso progetto: il Fascismo

 

La rivoluzione linguista


 

Aprire o mantenere un dialogo nella società di oggi sul tema «fascismo» è davvero difficile: la parola sembra ormai aver assunto un significato irreversibilmente negativo, una prigione dello spirito creata dalla acritica ricezione delle lezioni dell'antifascismo ideologico, da cui fuggire, appartiene solo allo sforzo intellettuale di pochi, indipendentemente dal loro orientamento politico. Anche tra coloro che professano l'adesione al fascismo, gli argomenti rischiano di essere soggetti ad una interpretazione personale fondata su assunti discutibili, se non eticamente indifendibili, e talvolta malamente articolati.

Il problema è che sul fascismo, da qualunque parte lo si veda, si paga in genere la tassa fissa di un approccio emotivo e pregiudiziale a causa della sua «storia». Ed è un falso problema, così come, a mio avviso, non serve alcun revisionismo storico, se non proprio là dove la sistematica violazione della stessa verità storica, attuata da entrambe le parti in nome della semplificazione e della propaganda, non divenga insopportabile o ridicola. Spetta agli storici, da Chabod a De Felice, da Talmon a Leeden a Stuart Woolf, il compito di definire come meglio reputano la storia politica del regime, gli eventi della guerra, anche il dolore e le passioni che esso aveva suscitato nei cuori della gente: qualunque cosa sia stato il fascismo storico, il fascismo che fu, in esso non può esaurirsi il fascismo inteso nella sua formulazione progettuale e teoretica.

Ed è doloroso constatare che nella percezione diffusa della società odierna il fascismo si concluda nella sua storia, proprio mentre gli storici sono i primi ad affermare la distinzione del fascismoregime dal fascismomovimento, la distinzione delle politiche contingenti che vennero attuate dalle idee fondanti il pensiero e la concezione della vita fascista. D'altronde, il fascismo, per sua stessa natura, va non solo compreso, ma anche e soprattutto «costruito», delineato, calibrato sullo slancio della rivoluzione sociale globale che esso invoca ed evoca.

Ora, da un punto di vista storico, è innegabile che il fascismo tradì in parte sé stesso. Lo fece attraverso quegli uomini che vissero il fascismo come manganello, come razzismo, come culto della violenza fine a sé stessa, gratuita, in una erronea percezione del vitalismo fascista: probabilmente furono quegli stessi uomini, fascisti solo per la camicia nera che indossarono, a vestire poi i panni rossi dei democratici vincenti per condannare alle foibe chi non mostrò lo stesso opportunismo, che li condusse ad occupare le poltrone del prestigio sotto entrambi i regimi, quello fascista prima e quello democratico poi.

Molto altro ci sarebbe da dire della storia del fascismo prima, durante e dopo la guerra, e nel prosieguo di queste pagine non mi esimerò dal farlo sia pure con la libertà di chi vuole verificare frammenti piuttosto che individuare un filo che presenta invero più di due estremità. Ma a cosa servirebbe tutto questo, se il fascismo non fosse, adesso, ora, indipendentemente dalle contingenze storiche del presente, un fortissimo ideale antropologico e sociale, con ripercussioni nell'economia, nella politica, nei rapporti tra popoli, in una parola l'unica via alternativa al modello americano e al comunismo, che hanno di fatto trovato il loro perfetto connubio nell'idiozia dei potenti del mondo occidentale? Si tratta dunque di avere il coraggio di porsi la domanda fondamentale: cosa è il fascismo, e da qui l'evidente esigenza di una rivoluzione linguistica, la modificazione di una accezione del fenomeno fascista che venga ad essere traslata dalla sua cornice meramente storica ad una dimensione più articolata, in divenire, «sostanziale» e «finale».

Sento il bisogno di anticipare fin d'ora che quanto scriverò su queste pagine potrà sembrare provocazione, ironia, e rende invece atto ad una situazione che a molti di noi è capitata: quella di essere etichettati «comunisti» dai cosiddetti «camerati» e «fascisti» dai comunisti.

Del resto, non solo per la dottrina economica e sociale del fascismo, che si presenta come assolutamente contrario al capitalismo che asserve l'uomo al mercato, o per il fatto che il fascismo non ha nulla a che vedere, se non per contingenze storiche, con razzismo, sessismo e nazionalismo; ma perché il fascismo è identità culturale di uomini e di popoli, è libertà di autodeterminazione, ed apertura e salvaguardia delle diversità sociali contro lo sforzo entropico dell'omologazione imposta.

Una rivoluzione linguistica è una sfida improba, e magari non porterà frutti immediati. Modificare ciò che si intende per fascismo creerà scompensi tra coloro che pensano di essere fascisti e non porterà consenso tra coloro che si dicono antifascisti. Forse si acuiranno le divisioni, non so. Certo è che chi oggi vuole un «fronte nazionale» è su posizioni antitetiche rispetto a chi, come il sottoscritto, sente l'urgenza di un «movimento sociale».

Servirà certamente a me, per tentare di ricordarmi come l'onestà intellettuale e l'impegno al dialogo siano dei valori ben più alti di quanto la nostra «moderata» società, così disinvolta nel barattarli con il più freddo dei piatti di fagioli, possa testimoniare.

 

Vito Veneziano

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