«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VII - n° 5 - 15 Novembre 1998

 

l'ultima

Santa madre Russia

 

 

Santa. Madre. Santa Madre Russia. Il Patriarca Alessio II leva imperioso il dito per scaraventare «nella gola dell'abisso» tutti gli spettri (sette banchieri in forma di spettri), arrivati al banchetto funebre di Santa Madre Russia. Ogni Rito è un viatico di coraggio e potenza. Il grande Atamano evoca il volto di Cristo Pantocrate a suffragio della più incredibile delle resurrezioni. Quella di Santa Madre Russia, patria dei contadini, piegata da Madonna Povertà, uccisa nel suo lungo sonno, senza più i suoi cosacchi, «senza le sue lacrime di brina, le lacrime di Zar». E però Santa e Madre. La terra ghiacciata del territorio a Est è diventata leggera e le anime buonissime dei Romanov galleggiano dentro i tramonti rabbiosi, tra le spighe di grano e gli sguardi sublimi delle ragazze tartare. «Non c'è umanesimo, né illuminismo» spiega Alexander Ivanovic Lebed. Lui fuma sigarette poco elaborate da un bocchino seghettato dalla foga masticatoria, quella di allineare i suoi pensieri a tutto ciò che vede: «I badili, i bastoni, le baionette dei soldati. Come sempre».

 

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Adesso che lui è governatore di Krasnojarsk, verifica giorno dopo giorno la velenosa vacuità della democrazia. «Eccellenti specialisti del massacro» erano i suoi ragazzi, quelli che durante la guerra in Afghanistan, lo avevano seguito per accordare al carillon della basilica di San Basilio, l'urlo del Muezzin di Kabul. Adesso Lebed è portato in trionfo, innalzato sugli scudi come un eroe barbaro. Lebed -sincero antioccidentale- è infatti la speranza di Russia perché tutto è «Bisanzio, e bisogna temere l'arrivo di un nuovo Borgia». Tutto è «come sempre». Probabilmente, in qualche sperduto villaggio di Siberia, quello che è accaduto da cento anni a questa parte è arrivato con i filtri della distanza. La lontananza incommensurabile della periferia. Da un piccolo padre all'altro, dall'aquila alla falce e martello, dallo Zar a Stalin, fino agli ubriaconi asserragliati al Cremlino, tutto è andato via senza che nessuno se ne accorgesse. Ed è sembrato tutto perfettamente uguale a tutto. «Come sempre». Stesse le divise dei soldati, stessa la neve, stesso il sapore della vodka. Identico, raccontato dai vecchi e dai padri dei vecchi, il tascapane dell'usuraio, controprova dell'immobilità. Eppure tutto ciò che è accaduto, è scivolato via come sui marciapiedi di San Pietroburgo scivola via la fretta. Ogni passaggio sulla Neva è un'ulteriore promessa patriottica. Alla Russia, Santa e Madre, la fatica della resurrezione svelerà il suo destino slavo, è vero, ma bisogna pur rassegnarsi all'idea che il mondo non può essere tutto uguale. E sarà pure difficile da spiegare, ma il Rublo, pur svalutato, vale più del Dollaro. Dice Marx: «Tutto ciò che è solido, si dissolve nell'aria». Nell'aria, appunto, dove galleggiano solo le anime degli Zar.

 

Pietrangelo Buttafuoco

da "Amica"

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