«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VII - n° 5 - 15 Novembre 1998

 

Nel settembre '43 venne abbandonata all'ira di Hitler

 

Divisione "Acqui"
(1943)

 

 

Dopo la capitolazione, il generale Gandin ed i suoi uomini obbedirono all'ordine di Badoglio di «considerare le truppe tedesche come nemiche» (anche senza la dichiarazione di guerra) scatenando su Cefalonia e Corfù la pesante reazione della Wehrmacht che provocò la morte in combattimento di 1.315 ufficiali e soldati, poi la fucilazione di 5.155 militari e la dispersione nel mare di 3.000 superstiti per l'affondamento delle navi da trasporto

 

Con un'indagine introduttiva su Ugo Foscolo e sulla sua "Lettera apologetica dell'epoca napoleonica tra il 1795 e il 1814", con la quale precisò l'origine del suo nome da luce (fos) e da bile (cholos) per manifestare il proprio culto alla Patria quale cittadino esegeta del sogno di Dante, Machiavelli e Alfieri per l'unità nazionale, confermando altresì di non nutrire altro sentimento preminente se non quello dell'amore all'Italia, rileviamo che l'autentico lector e chiosatore delle "Ultime lettere di Jacopo Ortis" - opera del primo Ottocento e d'una fermezza analoga a quelle del Werther goethiano e di "La nouvelle Héloise" di J. J. Rousseau - allorché seppe additare con un'altra epistola l'intera traccia storica dei luoghi «ove vidi il primo raggio di sole nella chiara e selvosa Zacinto risonante ancora de' versi che Omero e

Teocrito la celebrarono», cioè di Corfù, Paxos, Leukas (Santa Maura), Cefalonia, Itaca e Zante - quelle isole Jonie schiudentesi come davanzali dell'Oriente balcanico e greco su un'area marittima tra le più contese del Mediterraneo, sin dai tempi più remoti della Storia e, purtroppo, destinate nuovamente nell'anno 1943 a trasfigurarsi in ara di sacrificio e di doloroso sepolcro per la 33" Divisione italiana di Fanteria "Acqui" condotta dal generale Antonio Gandin - fu presago, con la sua conoscenza della locuzione tragoidia dell'Ellade classica, della gravità delle conseguenze che si ripercossero su ogni Soldato in divisa grigioverde il quale, dopo quel malaugurato 8 settembre, rimase fedele al vincolo di giuramento al re e all'osservanza della disciplina militare sebbene, attorno a sé, vide rovinare le istituzioni e le strutture della Nazione. Difatti, in concomitanza al riflesso di coscienza nazionale proiettata dall'antologia di U. Foscolo sull'impegno di lotta assolto dalla Divisione «Acqui» per fedeltà alla Patria, tra l'altro nella fase più torbida del 2° conflitto mondiale sul Mediterraneo e nella nostra Penisola, la lirica "All'Italia" del poeta di Zante estrinsecò a priori «ché se i tuoi vizi e gli anni e sorte rea / ti han morto il senno e il valor di Roma, / in te viveva il gran dir, che avvolgea / regali allori alla servil tua chioma. / Or ardi, Italia, al tuo Genio ancor queste / reliquie estreme di cotanto impero...» l'ineluttabilità di scontro d'armi dei soldati del generale Gandin con le truppe germaniche della Wehrmacht, palesatasi nelle Jonie dopo il 14 settembre 1943 (nella settimana successiva alla resa senza condizioni del Regio Esercito e altre Unità italiche ad Eisenhower e Montgomery) quando per le disposizioni del Comando Supremo composto dai generali fuggiti con Badoglio nelle Puglie - furono gli ordini n° 1023/CS e 1029/CS inviati tramite Marina Brindisi al Q.G. divisionale inerente Cefalonia e Corfù - fu annullata qualsiasi possibilità d'intesa coni rappresentanti dell'OKW (l'Oberkommando tedesco), perché -su richiesta della Divisione "Acqui"- «senza una prescrizione diretta del Führer a garanzia del rientro in Italia, con armi e bagagli, di tutti i militari componenti i reparti del Regio Esercito presenti nelle isole Jonie» si escludeva ogni eventualità di trattativa (G. Rochet e M. Venturi, "La Divisione Acqui a Cefalonia, Settembre 1943", ediz. 1993, p. 111) provocando la decisione del Comando d'Armate tedesche nei Balcani di applicare anche nelle isole dell'Odisseo l'attuazione del Piano Achse (con l'operazione Schwarz) elaborato per consentire a Rommel e Kesserling di disarmare quelle FF.AA. italiane che, dopo l'8 settembre, assunsero atteggiamenti ostili verso il Terzo Reich.

 

Ordini perentori causa di scontro

Così, dopo che Otto Skorzeny affrancò B. Mussolini dalla prigionia sul Gran Sasso e si profilò l'istituzione della Repubblica Sociale, mentre la M. O. Com.te J. V. Borghese innalzò a La Spezia il vessillo tricolore della Xª Flottiglia Mas per rivendicare l'Onore d'Italia continuando a combattere a fianco della Kriegsmarine tedesca, assunse sostanza per il generale Gandin e per l'intera Divisione "Acqui" l'obbedienza ai due ordini trasmessi loro da Marina Brindisi. Quello n° 1023/CS stabiliva: Riferimento quanto comunicato circa situazione isola maggiore Capra dovete considerare truppe tedesche come nemiche et regolarvi in conseguenza punto Rossi. L'altro -successivo di poche ore- precisava: n° 1029/CS alt Comunicate al generale Gandin che deve resistere con le armi at intimazione tedesca disarmo ai Cefalonia, Corfù et altre isole, fine. Entrambi vennero recepiti dal Q.G. della "Acqui" alla vigilia del 15 settembre, mentre le trattative ristagnavano nelle incertezze. Urgeva una decisione. Al mattino del 15 settembre, il generale Gandin tolse dalle sue decorazioni al V.M. quella germanica (una Croce di Ferro di Iª Classe) e diramò all'intera Divisione "Acqui" la disposizione di approntare le difese (Per ordine del Comando Supremo italiano e per volontà degli ufficiali e dei soldati, la Divisione non cede le armi) nell'eventualità d'un attacco della Wehrmacht perché, detenendo le isole Jonie il controllo sul golfo di Patrasso e sul canale di Corinto, anche Cefalonia e Corfù assunsero di fatto un ruolo considerevole d'importanza strategica nel Mediterraneo orientale, sia verso la terraferma greca quanto nell'accesso al mare Adriatico (la Repubblica di Venezia, per questo, le dominò dal XV secolo), mentre -distanziando dall'Italia appena cento chilometri- avrebbero potuto servire ai tedeschi nella difesa dei Balcani, delle sponde albanesi ed elleniche da un virtuale attacco di USA e Gran Bretagna verso la Jugoslavia ove W. Churchill sognava di fermare l'avanzata dell'Armata Rossa e dei sovietici nel bacino danubiano, un'eventualità -quest'ultima- resa possibile dalla conquista delle Puglie, in particolare dei porti di Taranto, Bari e Brindisi, intrapresa il 9 settembre dalla VIIIª Armata britannica e in coincidenza all'arrivo precipitoso dei fuggiaschi da Roma (Vittorio Emanuele III, Badoglio, Ambrosio ecc.) nella città di Brentesion, come fu chiamata Brindisi dopo la sua fondazione da parte delle popolazioni italiche di Messapi e di Japigi. Tutto ciò però, Gandin non lo potè neppure supporre: ligio, per tradizione, alla sua disciplina di militare e di comandante di grande Unità operativa, fu costante nell'osservanza delle disposizioni ricevute (quelle degli ordini n° 1023/CS e n° 1029/CS) e in tutela della tradizione della "Acqui" -brigata dal 1821 al 1938, poi divisione- e del patrimonio di glorie dei 17°, 18° e 317° reggimenti di Fanteria, nonché del 33° d'Artiglieria, che al momento dell'armistizio rappresentava, insieme ai reparti complementari di Carabinieri, Guardie di Finanza, Camicie Nere e dei servizi, una forza di 708 ufficiali con ben 15.759 uomini tra sottufficiali e truppa, fu eroicamente all'altezza del suo compito sino al sacrificio supremo.

 

Divenne tempesta l'utopia di pace

La "Acqui", nel suo "Album" di glorie militari, annoverò le battaglie di 1ª e 2ª Guerra d'Indipendenza (a Sforzesca, Novara e San Martino), quelle della Grande Guerra (sui monti Sei Busi e Asolone; a Vermegliano, Podkority, Selz e Catz), fu presente nell'Eritrea e in Libia, inserendo in esso le più ambite ricompense al Valore dell'Esercito italiano. Nella fase iniziale del 2° conflitto mondiale fu impiegata sulla fronte italo-francese contro l'Armée des Alpes (giugno 1940), poi in quella greco-albanese (ottobre 1940 - aprile 1941) e, dopo l'intervento tedesco nei Balcani e in Grecia, assunse il controllo delle isole Jonie. Per le fasi dei conflitti sulle Alpi e nelle trincee greco-albanesi subì perdite di 513 Caduti, 1.178 dispersi, 1.451 feriti e 830 congelati, ma a Cefalonia e nelle altre isole foniche quest'Unità potè riassestarsi per le sue funzioni, anche se la malaria infierì sui suoi effettivi. Eccoci al 1943. Già al suo inizio, il PWE britannico (Political Warfare Executive) dimostrò di conoscere bene la strategia dell'Asse nel Mediterraneo e quando -nell'estate- si sviluppò l'invasione anglo-statunitense nell'Italia meridionale (L. Mercuri, "La Quarta Arma", 1998) le conclusioni della Conferenza di Casablanca tra W. Churchill e F. D. Roosevelt sull'immutabilità della resa senza condizioni per il nostro Paese, la Germania, il Giappone ed i loro alleati si dimostrarono irremovibili e, dopo la caduta del governo Mussolini il 25 luglio, quello di Badoglio dovette accettarle prima d'intraprendere il voltafaccia dell'8 settembre, che precipitò l'intera Nazione nell'ignominia d'un tradimento stolto e nella fatalità della guerra civile.

Altresì, quando il 29 settembre a Malta i generali italiani ed i componenti del governo fuggito a Brindisi si presentarono per firmare l'armistizio «lungo» (documento di 44 articoli che stabiliva il totale controllo di USA, URSS e Gran Bretagna su tutte le risorse del nostro Paese), Eisenhower chiese a Badoglio se fosse a conoscenza delle condizioni alle quali venivano sottoposti i Soldati italiani dai tedeschi se fatti prigionieri combattendo contro la Germania, mentre il governo dell'armistizio non le aveva dichiarato guerra. «Li considerano partigiani!» risposero Badoglio e Ambrosio, «Quindi passibili di fucilazione?» domandò Eisenhower, «Senza dubbio!» concluse il generale V. Ambrosio. Pertanto gli ordini n° 1023 e n° 1029 del Comando Supremo inoltrati a Gandin quindici giorni prima dalla città pugliese avevano condannato la "Acqui" a subire la durezza della reazione della Wehrmacht dopo il voltafaccia dell'8 settembre e le ripercussioni del suo completo abbandono all'ira hitleriana, perché né le forze del generale Clark impegnate nell'operazione Avalanche per lo sbarco a Salerno (dal à settembre), tanto meno quelle della VIIIª Armata inglese penetrata nelle Puglie con un altro intervento (lo Slapstick) intendevano sottrarre le Unità indispensabili dal salvaguardare le posizioni conquistate per salvare le Jonie. Ma quel 29 settembre la tragedia di Cefalonia e di Corfù aveva già annientato la Divisione "Acqui", anzi fu il momento in cui "I Sepolcri" di Foscolo avevano già raccolto la tristezza dei Soldati italiani dinanzi alla morte, «placando quelle afflitte alme col canto...» della misericordia, laddove «abbraccia terre il grande mare Oceano».

 

«Reagire ad attacchi d'altra provenienza»

Rammentiamo come si svolse tale tragoidia, perché tale essa divenne.

In Italia, alle ore 19,42 dell'8 settembre, mentre sulle onde dell'EIAR si propagava la canzone "Una strada nel bosco", la trasmissione venne interrotta per diffondere il proclama di Badoglio che annunciò la stipulazione dell'armistizio col nemico anglo-statunitense e sovietico, quindi -da quel momento- le FF.AA. regie avrebbero reagito a eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza, fosse dalla Germania e dagli altri alleati europei o asiatici.

L'intrigo della capitolazione al nemico fu coinciso in segreto il 3 settembre a Cassibile dal generale Castellano che firmò l'armistizio «corto» (preambolo di quella del 29 settembre) ma nonostante ciò, quell'8 settembre, alle ore 10,00, Vittorio Emanuele III dichiarò all'incaricato d'affari tedesco R. Rahn che «l'Italia combatterà sino alla fine a fianco della Germania», alle ore 11,00 anche Badoglio gli ribadì che «è offensivo per l'Italia pensare che Casa Savoia, lui e il suo governo manchino a una parola d'onore», alle 17,45 il capo di Stato Maggiore dell'Esercito generale M. Roatta specificò -sempre al diplomatico di Ribbentrop- che quanto diffuso dall'emittente di New York sulla resa italiana «è una sfacciata menzogna recepita negli usa che io devo respingere con indignazione» (R. Zangrandi, "L'Italia tradita", 1947) e soltanto dopo le 19,00, mentre all'EIAR -già tremebondo per la sua paura dell'ira tedesca- Badoglio si approntava a leggere il suo proclama sulla capitolazione, allorché Radio Algeri diffuse il dispaccio di Eisenhower sull'uscita della nostra Nazione dal conflitto, il ministro agli esteri G. Guariglia ammise, come una mater dolorosa, al rappresentante del Terzo Reich che ciò... corrispondeva a realtà, facendo esclamare a Rahn: «Si vede cosa vale la parola d'onore del re d'Italia e del maresciallo Badoglio!».

Nel frattempo, timoroso che ciò fosse insufficiente a scatenare sulla nostra Penisola e altrove -dovunque le FF.AA. italiane erano dislocate- il contraccolpo punitivo della Wehrmacht, il Foreign Office (quel dicastero britannico degli esteri che sempre impiegò W. Churchill quale migliore «suggeritore» delle iniziative del tempo del «bastone e della carota») fece diffondere da Radio Londra l'impegno del governo Badoglio nel voltafaccia dopo l'8 settembre, specificando che «il futuro dell'Italia al tavolo della pace dipende dal contributo che il popolo e le armi italiane daranno alla causa comune della liberazione dai tedeschi di tutto il territorio italiano fino al Brennero», obbligo che il re Vittorio Emanuele III e Pietro Badoglio «assolsero» il 13 ottobre 1943 con la loro dichiarazione di guerra al Terzo Reich, imprigionando la Nazione già sofferente in un cappio di tormenti senza vie di scampo.

 

Poi il mar laggiù indifferente e muto

Inoltre, l'accento molto europeo che il Terzo Reich diede già dal 194243 alla sua lotta politica (con J. A. Goebbels) nel 2° conflitto mondiale, inasprì la reazione del governo tedesco e della Wehrmacht alla fellonia badogliana dell'8 settembre (K. Hildebrand, "Il Terzo Reich", 1974) e dalla diserzione del Regno d'Italia anche dalla guerra patriottica delle Nazioni del continente di Dante, Napoleone e Bismarck per l'affrancazione del mondo dal giogo delle oligarchie finanziarie anglo-statunitensi e dall'oppressione marxiana dell'imperialismo sovietico, aspetti d'una contesa senz'altro non considerati dal generale Gandin nell'assolvimento dei suoi doveri nelle Jonie all'indomani della capitolazione che determinò però, il dissolvimento delle FF.AA. regie dovunque situate, mentre -come precisò il generale A. Jodl nel suo rapporto al capo di Stato Maggiore dell'Esercito tedesco il 7 novembre 1943- dopo la resa le Divisioni italiane disarmate furono 80, con 547.531 militari (di cui 27.744 ufficiali) fatti prigionieri o internati, delle quali 6 in Croazia, 4 nel Montenegro, 6 in Albania, 6 in Grecia (Cagliari, Piemonte, Forlì, Casale, Pinerolo e Modena), la Siena a Creta e la Regina a Rodi, ribadendo l'annientamento della "Acqui" in conseguenza all'osservanza degli ordini n° 1023 e n° 1029 del Comando Supremo emanati a Brindisi quando si trovò già ricoverato sotto la protezione della VIIIª Armata britannica.

È certo che le truppe del XXII Corpo d'Armata tedesco in Grecia, nei loro attacchi a Cefalonia (16-22 settembre) e poi a Corfù (23-27 settembre) non ebbero esitazioni e non nutrirono misericordia. Purtroppo, al termine di quell'offensiva nelle Jonie il bilancio delle vittime italiane fu spaventoso: 65 ufficiali e 1.250 sottufficiali e soldati caddero in combattimento; 155 ufficiali e 5.000 sottufficiali e soldati furono fucilati; infine, 3.000 militari scomparvero, dispersi in mare.

Il generale Antonio Gandin fu il primo ufficiale italiano che cadde fucilato. Egli «fu solo -tremendamente solo- a dover decidere!» nei momenti più angosciosi del dramma della "Acqui", narra il cappellano militare R. Formato nel volume "L'eccidio di Cefalonia" (1968), ma nel tragico sviluppo degli eventi -mentre Cefalonia e Corfù divennero isole della morte- dimostrò a tutti la nobiltà della coerenza nell'obbedienza agli ordini. E altrettanto fecero i suoi combattenti. Anche i superstiti, poi finiti annegati nel mare, insieme ai piroscafi affondati dalle mine o dalle incursioni degli aerei della RAF e della USAAF. Sui monumenti eretti in memoria del martirio della Divisione "Acqui", N. Nevelli specifica nell'opera "Il mondo dei vinti" (1977) che «Alcune altezze erano salde in me. Odiavo la guerra, sapevo che la povera gente paga sempre le colpe degli "altri", sapevo che i monumenti e le lapidi sono l'ultimo colpo di spugna sulla lavagna delle colpe impunite» e ben rare tragedie della Storia possono paragonarsi, nella quantità delle responsabilità attribuite ad altri, alla gravità di fughe e di diserzioni compiute da Badoglio dall'epoca di Caporetto a quella di fine 1943, e tra esse fu proprio Eisenhower a Malta -al momento della firma dell'armistizio «lungo»- ad attribuirla al duca di Addis Abeba e al generale Ambrosio non avendo provveduto -dopo l'8 settembre, con la dichiarazione di guerra alla Germania- a riportare ad essere combattenti regolari i soldati del generale Gandin. Nella poesia "Il dì plui trist", il fante O. G. Perosa -sopravvissuto a quella tragedia- nel descrivere la partenza da Argostoli, conclude «E il mare... laggiù / in cui tanto avevamo sperato / ci guarda / indifferente / e muto».

È questa è un'altra, tremenda leggenda di sacrifici e d'eroismo. La onoriamo.

 

Bruno De Padova

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