«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VII - n° 5 - 15 Novembre 1998

 

intermezzo

Novanta giorni con me

 

 

 

8) Ho sempre amato i cani DOC, per la loro classe. Ora, «Loulou» mi fa riflettere, invece; i vecchi amano a preferenza le povere bestie, che molte e tristi ne hanno da raccontare; la «bianchina» ha tanta paura di ritornare in piazza che nemmeno esce nel cintato giardino. Cani a parte, non sono soddisfatto di questa prosa documentaria, priva di certi passaggi particolari, che fanno sentirti artista. Mi accorgo che scrivere un diario, almeno per me, sempre abbondante di parole come di stati d'animo, non è cosa facile. Queste pagine mi sfuggono: scrivo, scrivo e m'accorgo d'essere rimasto indietro di qualche giorno, visto che ho alcune pagine da riempire; non so di che. Urge qualcosa da raccontare.

 

9) Per esempio, durante la notte ho il naso chiuso, non so respirare a bocca aperta; e non dormo. Sbaglio il ritmo dell'ossigenazione; mi si secca la gola e mi sembra di morire soffocato, ridicolmente, a bocca aperta. Forse è l'effetto secondario d'una formidabile, necessaria medicina nuova, che per giunta, come dirò dopo, mi dà lunghi brividi notturni, inspiegabili per gli stessi professori. Cosicché, stamane non mi piacevo; lo specchio confermava la diagnosi, ricavandone una maschera stanca. In realtà -esagero sempre volentieri!- si tratta del pallore invernale, che presto combatterò col sole. Fossi un attore, userei il cerone anche quando non recito.

 

10)  Ho anche compensi, però. Amo infatti il Salento, perché lascia liberi, senza togliere il dovuto rispetto. Curo da anni una rubrica culturale radiofonica, intitolata "Non siamo soli, leggiamo insieme", seguita con attenzione nel raggio d'una quarantina di chilometri. Quando non ho voglia, non vado e non succede niente. I ragazzi di «Studio 104» mi sostituiscono al microfono con un'ora di musica pop e supermoderna. Che sia ascoltata più volentieri? Che il pubblico la gradisca, anzi la capisca meglio dei miei monologhi? Questa è vecchiaia: ho preso la brutta abitudine di farmi domande, che prima ponevo agli altri, essendo io il dogma di me stesso.

 

11) Per la prima volta, ho dato un po' di biglietti da visita, con semplice nome e cognome e, sotto, «scrittore»; il che non è una bugia in quanto tale apposizione, in definitiva, significa «uno che scrive». Ho chiesto al tipografo di usare, per quel titolo, caratteri molto piccoli. Eppure, non vedo l'ora che mi consegni quei mille certificati della mia falsa modestia. Spillarli all'angolino, in alto a destra, degli articoli che spedisco a ospitali riviste, sperando nella pubblicazione, sarà un vero godimento. Tutto qui.

 

12) Quando voglio essere spiritoso (non è il mio forte), dico in giro, che dopo quindici anni di continua vacanza salentina, avrei necessità d'un periodo di ferie per «riposarmi», anche perché questa situazione di privilegio a tempo pieno ha prodotto strani effetti collaterali. Mi spiego. Oggi, domenica, non ho minimamente pensato a festevolmente dormire di più, dato che il mio risveglio di ogni giorno sconosce gli orari; non è pigrizia, è soltanto libertà totale; del resto, simile a quella che mi permette di fare le ore piccolissime alla macchina da scrivere, senza controlli di sorta. Ignoro il condominio...

 

13) - Così non va: dopo dieci pagine di diario, ancora non sono stato capace di buttar giù una di quelle frasi intelligenti e profonde, specie di concettuosi aforismi, che dovrebbero giustificare la tenuta d'un vero diario. Meno male che qualche accadimento da annotare c'è pur sempre, a dimostrazione del fatto che penso. Per esempio (avete notato quante volte uso quest'introduzione? Significa carestia d'idee, oltre che prosa sciatta!), ho trascorso il pomeriggio a decidere di non uscire e, subito dopo, ad optare per il contrario. Fuori pioveva piano, piano. Alla fine, potevo anche uscire, ma son rimasto a guardar piovere, da dietro i vetri appannati della mia senile indecisione, che si sente sicura soltanto davanti a questa segreta scrivania, in fondo al ripostiglio, grande come un monolocale.

 

14) Presso l'Università della Terza Età ho tenuto una lezione su «Eleonora d'Aquitania, donna irrequieta in età cortese». Avevo scelto, per un rigurgito di trasgressione, un argomento che mi permettesse di dimostrare ad un gruppo di dame pugliesi (in gran parte rimaste tra il baronale e il clericale, per le quali virtù femminile s'identifica con l'onestà in amore) che una donna libertina aveva insegnato all'Europa medievale della verginità forzata il coraggio di vivere secondo la propria natura psicofisica.

 

15) Avevo sempre cercato una ricorrenza da abbinare, a mo' di segnalibro, alla mia data di nascita; un qualcosa che avesse una certa importanza, così da farmi dire con soddisfazione: «lo sono dello stesso anno». Finalmente l'ho trovato il fatto coevo, che s'identifica per simultaneità e concomitanza. L'importante è sapersi accontentare. Nel 1923 uscì in teatro «Il paese dei campanelli», operetta di Virgilio Ranzato, violinista alla Scala sotto Toscanini. La vicenda era ambientata, grosso modo, in Olanda; una fiaba d'evasione che doveva distrarre l'Italia dalla malattia nella quale lo stato liberale andava consumando le ultime garanzie della democrazia parlamentare. Dunque, ero nato in un anno importante anzichennò. Per me, ha più incidenza nella vita d'un uomo una data effettiva, piuttosto che non so quale congiunzione astronomica d'impassibili astri.

 

Florio Santini

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