«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VIII - n° 1 - 15 Maggio 1999

 

Jugoslavia - Intervista a Igor Man

 

Il confronto tra l'Oriente delle icone e l'Occidente secolarizzato

 

 

 

Meglio di una parata.

«Capirai, bel compleanno, bei cinquant'anni che festeggia la NATO, nel sangue e nell'orrore. Sul piano tecnico è perfetto, adopera gli strumenti. Sul piano etico, sul piano invece è un disastro. Entriamo a passo di bersagliere nel nuovo millennio, con una tragedia che non finirà mai, che durerà altri millenni».

Igor Man, cronista forgiato negli scoop in Vietnam, firma de "La Stampa", attento osservatore di tutto ciò che trasmigra lungo il sentiero percorso dal sole, dal suo nascere fino in Occidente, per il suo sangue e per la sua sensibilità di studioso, è un testimone ancora più prezioso in questi giorni che la guerra in Serbia si svela nel suo risvolto più temuto: essere quasi una guerra di religione, il confronto estremo tra l'Oriente delle icone e l'Occidente secolarizzato.

«La Serbia è il simbolo dell'illusione marxista-leninista. Questo paese, cresciuto per secoli e secoli, nel culto della violenza, riceve slancio nel suo orgiastico nazionalismo, dalla religione. L'ortodossia slava, come mi diceva mia madre buonanima, rasenta il fanatismo, e, infatti, lei aveva buoni rapporti con il parroco di Cibali, padre Torrisi. Nella memoria di questa gente, il comunismo è passato -non ha lasciato traccia, se non tracce esterne- è rimasta immobile invece, l'anima ortodossa, questo è certo quello che più impressiona».

Vexilla regis prodeunt inferni. Le immagini che arrivano dalla Serbia invece sono esclusivamente simboli, gesti accuratamente carichi di significato. A Partire dal saluto: Dio, Re, Patria.

«È inutile bamboleggiare, nel DNA di questa gente c'è violenza ed eroismo, c'è -e usiamo una frase banale- questa mescolanza di virtù e spavento che è sempre stata coperta da un grande cosmetico, la religione».

Belve assetate di sangue.

«La violenza è antichissima nella Serbia. C'è un libro illuminante, il libro di memorie di Milovan Gilas, il grande compagno eretico di Tito, messo mille volte in galera, mille volte liberato. Ha scritto un libro, il cui titolo possiamo tradurlo senza tradirlo così, "Il paese ingiusto", ed è la sua autobiografia pubblicata quando ancora lui era in galera a Sremska Mitrovica, la prigione degli intellettuali. Racconta la guerra partigiana e Gilas riconosce che l'odio serbo nei confronti dei musulmani, era atroce, tanto è vero che, dice, "quando noi eravamo nella Resistenza, in realtà prendevamo prigionieri i musulmani con il pretesto che fossero complici dei tedeschi"». «C'è un brano terribile: "Dopo che i prigionieri di Sahovici furono trucidati, uno dei nostri, Sekula, andò di cadavere in cadavere per recidere i talloni, come si fa ai buoi nelle campagne dopo averli abbattuti, a colpi di scure, per impedire alle bestie di rialzarsi. Quelli che frugarono nelle tasche dei cadaveri, vi trovarono pezzettini di zucchero insanguinato, e ciò nonostante, li mangiarono". Strapparono le barbe agli ulema musulmani. Più che di ammazzare i tedeschi, si preoccupavano di fare queste cosine, come incidere sulla fronte degli ulema, con il coltello, la croce ortodossa. In alcuni villaggi, gli uomini legavano gruppi di contadini collaborazionisti, o presunti tali, a un covone di fieno cui davano fuoco, qualcuno osservò che le fiamme che arrostivano la carne umana, "erano del colore della porpora"».

I Serbi conoscono la guerra nell'essenza.

«Neppure i tedeschi, neppure loro che erano il fior fiore del soldato europeo, riuscirono a piegare la Jugoslavia. Furono fottuti da quattro straccioni comandati da Tito armati con le scopette. Esercitarono un tale tipo di violenza sul territorio, paralizzando definitivamente i tedeschi. Dei serbi, va detto a loro onore, che non hanno paura di morire. Laddove i musulmani hanno in dispregio la vita, quella altrui aggiungo, loro hanno in dispregio la vita loro. Loro vanno all'attacco, si sporgono dalle jeep, sono mafiosi, aggrediscono, sono valenti, e quindi non è facile, temo e tremo una guerra di terra».

Figurarsi in una guerra per una terra «sacra».

«Lui, Milosevic, in Kosovo ha avuto la sua vittoria perché intanto s'è ripreso il cordone dei monasteri. Gli asceti russi si dicevano convinti che il volto di un uomo in buona fede, rifletta di luce tutta sua; luce che tuttavia solo il credente può percepire. Nei Fratelli Karamazov, si legge: "Il diavolo ha avuto paura di te, mio puro cherubino". È dunque un volto, non una dialettica che oppongono agli islamici del Sud e, suprema bestemmia, loro impongono il volto di Nostro Signore Gesù Cristo. Tutto s'aggroviglia, tutto è morbosamente torbido, il minimo di raziocinio cartesiano vacilla. I generali occidentali non studiano l'animo della gente, non conoscono la storia, conoscono i "Bignami", le date degli accadimenti. Si abbandonano alle generalizzazioni. Per esempio, non si può dire che Milosevic sia un nuovo Hitler, è una banalità. Semmai è un personaggio inquietante. Non voglio offendere nessuno, ma Milosevic è un tipico mistico ortodosso. Suo padre era un pope che s'è svenato, e la madre s'è sparata. È stato allievo di Kissinger, ha studiato ad Harvard, è un grande finanziere, la sua vera natura si rivela quando nell'87 lui scopre il Kosovo. Quando cominciarono i primi moti, e quella volta erano i serbi che subivano, lui andò e disse: "Mai più il turco li opprimerà. Parola di Milosevic". Così cominciò la sua avventura, con una professione di fede antislamica. Paradossalmente questa guerra è la seconda puntata di quella guerra che vide la grande sconfitta nel 1389 degli slavi ortodossi serbi. Entriamo nel terzo millennio con questa carica di violenza e misticismo. Se dobbiamo tener fede alla teoria degli asceti russi, guardiamo il volto di Milosevic, sembra il volto di un cherubino».

E il diavolo avrà paura di lui. Ma il diavolo non sa da che parte stare.

«Siamo noi il bene? Ma in noi c'è tutto, siamo per tre quarti femmine e per un quarto maschio, perché invece di ritirarsi i nostri orpelli, si sono ritirati fuori. Ai carusazzi del Minnesota avevano detto: voi andate nel Vietnam, andate a liberare un piccolo paese dall'oppressione comunista. Erano ragazzi del Sud, erano tutti cattolici, andarono in quel posto dove i contadini vivevano come mille anni fa, nelle risaie. Gli americani avevano portato i frigidaire ignorando che però mancava l'energia elettrica. E i contadini infatti li usavano come pisciatoi, ridendo come pazzi. Non sapevano chi fosse Lenin, non sapevano chi fosse Stalin, sapevano solo una cosa: che dove arriva l'uomo bianco, arrivava la sciagura. L'abbiamo truccato come una battaglia contro il comunismo, ma difendevamo gli intrallazzi di quattro mandarini ruffiani».

Si pensava che non ci fossero più guerre di religione, e invece.

«Questa è una guerra di religione. È un'etnoguerra. Ci vorranno due secoli per riassorbire questa ferita. Questi pensano ancora alla sconfitta del 1389. Non c'è scuola, non c'è circolo, dove non si parli della battaglia del Kosovo, 1389. Loro hanno perso contro i turchi, e questa sconfitta è rimasta, come un vulnus segreto, coperto dalle varie stratificazioni comuniste, dalla guerra civile, da mostruose violenze, è rimasta lì a sedimentare».

A sedimentare e a saldarsi con l'appello della Santa Madre Russia.

«Attenzione. Rapporti formalmente fraterni con l'ex-URSS. In realtà hanno sempre odiato i russi, perché i russi si sono sempre serviti della Serbia, come ha scritto appunto Fulvio Scaglione su "Avvenire", "Occhio e orecchio del Cremlino sull'Occidente". I serbi non ignorano che i russi avrebbero fatto della Serbia un protettorato. La Russia non può fare nulla perché perde diecimila miliardi di dollari promessi dal Fondo Internazionale. Il rischio dell'implosione per la Russia è totale, hanno mandato delle navi in Adriatico e si sono fatti prestare la nafta dalla Siria, non hanno occhi per piangere. I soldati erano per le strade delle campagne con la gavetta in mano per raccogliere un po' di cibo, i generali cercavano come vendersi le navi. Possono piuttosto assecondare un vecchio riflesso, il riflesso di Pavlov della comune matrice ortodossa. Ma la Russia potrà fare sempre solo un po' di ammuina. I rapporti, gli unici indissolubili, sono quelli fra gli uomini della generazione del KGB e quella dei servizi segreti jugoslavi. Le popolazioni si odiano invece, e anche ferocemente. La storia di quella che oggi è la Jugoslavia è un susseguirsi di folle eroismo e selvaggia violenza, il frutto di mescolanza di popoli, invasioni, esodi. Basilio II imperatore bizantino, nel 1014, infligge una sanguinosa sconfitta all'esercito dello zar Samuele, fondatore del primo impero bulgaro macedone, le cui frontiere aveva esteso dal Danubio fino quasi all'Adriatico e all'Egeo. Basilio rimandò al suo avversario quindicimila prigionieri dopo averli fatti accecare, risparmiando un uomo su cento, orbandoli di un occhio solo, perché quei centocinquanta soldati potessero guidare i compagni. Lo zar Samuele vedendo giungere quella spaventosa processione di orbi guidati da mezzi orbi, morì di infarto».

 

Pietrangelo Buttafuoco

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