«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VIII - n° 1 - 15 Maggio 1999

 

Un panettone Moffa per il Natale di Gianfranco Fininvest

 

 

 

«L'insuccesso gli ha dato alla testa» diceva e scriveva beffardo, l'ineffabile Ennio Flaiano. Ci siamo ricordati di questa battuta all'indomani del secondo turno delle «amministrative» decembrine, alias ballottaggio, allorché gli esimi condottieri del centrodestra sventolavano con attitudine trionfalistica una presunta «grande e vittoriosa avanzata» del sedicente Polo delle Libertà.

Nel lancinante timore di essere stati vittime di una allucinazione nel corso della lettura del giornale, ci siamo precipitati a recuperarli prima che scomparissero dal nostro ufficio. Per scrupolo di coscienza e di informazione, ovviamente, ben sapendo che ne avremmo dovuto trattare a livello pubblicistico.

Ma non ci eravamo affatto sbagliati, né avevamo avuto le traveggole. Su cinque capoluoghi di provincia, tre (Brescia, Pisa, Sondrio) sono andati al centrosinistra, uno (Treviso) alla Lega bossiana, uno (Vicenza) ad Alleanza Nazionale. Per inciso: al successo dei secessionisti antinazionali in quel di Treviso hanno contribuito, e da par loro, i «patrioti» del partitello clericale di Pier Ferdinando Casini, cordialissimo e fedelissimo alleato della destra del «nazionale» Gianfranco Fininvest, di cui si dice che nel Polo sarà la staffetta di Berlusconi. Tanti carissimi auguri, anche se, al momento, più che a una staffetta somiglia a uno staffiere.

 

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Ah, dimenticavamo il grandioso balzo in avanti, il formidabile successo del Polo nella Città Eterna, la conquista della cosiddetta «poltronissima» alla Provincia sulla quale andrà a poggiare le sue provatissime chiappe uno dei più inverecondi versipelle di Serie C, Silvano Moffa, sindaco di Colleferro, di cui diremo in prosieguo di esposizione.

Ma per significare al Lettore ciò che il 13 dicembre è successo, come dicono i quiriti di oggi, «all'ombra der Cupolone», meglio affidarsi alla penna agile ed efficace, allo stile secco, incisivo, di un bravissimo giornalista de "Il Corriere della Sera", Giuseppe Pullara. Vediamo:

«Capovolte le posizioni del primo turno, il candidato del Polo è passato in vantaggio sul concorrente del centrosinistra per un soffio e ha vinto la gara per la presidenza della Provincia di Roma. Una corsa fianco a fianco, tra Silvano Moffa, AN, e Pasqualina Napolitano, DS, in un territorio elettorale semideserto. A Roma città l'affluenza alle urne è caduta a livelli inimmaginabili, dal crollo al 52% di due settimane fa è precipitata al 42%. Venti punti in meno rispetto al ballottaggio delle provinciali del '95. Il sindaco di Colleferro (manterrà il doppio incarico, «come Bassolino») ha vinto come perse il duello con il pidiessino Fregosi tre anni fa: per poche migliaia di voti».

Stesso dato di partecipazione, grosso modo, nei vari paesi che fanno da corona alla Capitale.

Conclude così, l'ottimo Pullara, il suo icastico pezzo: «Un sondaggio del "Corriere" ha rilevato alla vigilia del voto che sia Moffa che la Napolitano risultavano sconosciuti a più della metà degli elettori». Con tanti distinti saluti a tutta la genia di intellettuali «nuovisti» la quale, un giorno sì e l'altro pure, teorizza quella che chiama «una maggiore personalizzazione della politica».

Al tirar delle somme, solo poco più del 20% dell'elettorato romano-laziale si è espresso per il candidato della trimurti Berlusconi-Fini-Casini. Quindi il Moffa è vivamente pregato di abbassare le ali, di non agghindarsi con le penne del pavone, di darsi meno arie di quelle che già si sta dando. Per la verità il Creso di Arcore ha cercato, nella ennesima, logorroica comunicazione televisiva, di iniettargli una importanza che non ha -tra l'altro le «Province» si sono assicurate un posto nella sesquipedale lista degli enti inutili di cui, prima o poi, lo Stato si dovrà pur liberare- dichiarando con stentorea voce che i cosiddetti «moderati» non si sono recati alle urne in segno di protesta contro «ribaltoni» costruiti a tavolino dai partiti suoi avversari con gruppi di transfughi del Polo e con la partecipazione straordinaria di Francesco Cossiga, suo Nemico Pubblico Numero Uno. Veri o presunti che siano codesti ribaltoni ribaldi, la tesi del leader di Fini non sta in piedi. Se un elettore vuole protestare contro reali o immaginarie magagne trasformistiche dell'Ulivo e dintorni va in cabina, impugna la sua matita e spara contro i vari D'Alema, Veltroni, Marini, Dini, Mastella, Manconi etc. etc.

 

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Che le dimensioni dell'incarico affidato a un uomo e candidato mediocre come il Moffa siano tutt'altro che da enfatizzare pure in senso oggettivo lo dichiara sempre Pullara con le seguenti poche ma inequivocabili parole: «Il successo del Polo a Palazzo Valentini non sembra affatto destinato a creare conseguenze politico-istituzionali né sul Campidoglio né alla Pisana (sede della regione, N.d.R.), visto anche il ruolo secondario della Provincia rispetto ai due enti locali. Certo può rappresentare un avvertimento per i partiti che vi formano la maggioranza». Sacrosantamente vero!

Il giornalista tenta poi di tratteggiare qualche elemento della biografia moffiana. Dice: «Questa volta erano in gara, rappresentando i due schieramenti opposti, due elementi di chiara appartenenza politica e non esponenti della «società civile». Moffa, una vita nel MSI (è stato capo dello staff politico di Pino Rauti segretario), ha avuto la sua rivincita con l'aiuto personale del leader di AN Fini, che ha partecipato a un vertice di incontri propagandistici portando al primo, al primo turno, il partito al 31% nella Capitale».

Dunque il neo Presidente che a giorni si insedierà a Palazzo Valentini altro non era che un Signor Nessuno; e tale sarebbe meritatamente rimasto senza l'Alto Patronato di Gianfranco Fininvest e di Silvio Berlusconi. Quest'ultimo, a vero dire, molto si è speso -e, forse, ha speso- per lui, nonostante la sua appartenenza non agli azzurri forzitalioti bensì ai biancocelesti traditori di Benito Mussolini. Ad onta, tuttavia, della inconsi­stenza della sua immagine deve ben saperla dare a bere ai pezzi grossi della politica, visto e considerato che prima del Giovin Signore di Via della Scrofa -mai toponomastica fu più adeguata per la sede di un leader di un partito!- il panettone Moffa, e non per un solo Natale, venne mangiato da Pino Rauti. Erano i tempi in cui l'ex pupillo di Giorgio Almirante ancora non aveva messo in condizione l'attuale capo della Fiamma Tricolore di far fagotto in conseguenza di quella autentica buffonata che fu il giuramento «antifascista» di Fiuggi. Insomma, Silvano Moffa fu per vari anni il vice di Rauti nella corrente missina «Andare oltre», un ideologo o ritenuto tale, una delle sue «teste d'uovo», per dirla con gli americani. Non fu solo il capo dello staff del segretario (definizione troppo «tecnica»), ma il capo della sua segreteria politica. Professava e diffondeva una ideologia violentemente anticapitalistica, che lo collocava all'estremissima sinistra del patrimonio storico, dottrinario, ideale della Repubblica Sociale Italiana e della sinistra sindacale e politica del fascismo del Ventennio. Mentre scriviamo abbiamo sotto gli occhi un volume collettaneo con prefazione di Rauti recante il titolo «Uscire dal capitalismo». Manco a dirlo, campeggia in esso, in forte evidenza, un saggio moffiano. Orbene, è la seconda volta, ormai, che il nostro Silvano da Colleferro si fa sponsorizzare non soltanto da Gianfranco Fininvest ma anche dal Cavaliere di Arcore, personaggio, come è noto, afflitto dalla malattia per lui fortunatamente inguaribile di una plurimiliardite acutissima. E allora chi non è completamente fesso ha perfettamente compreso che il Moffa lungi dall'«uscire dal capitalismo» vi è entrato. E a bandiere spiegate, anzi spiegatissime, ma -ecco il punto- senza spiegare nulla. Anche perché non c'era, non c'è, nulla da spiegare. Tutto essendo chiarissimo.

Stia attento, comunque, il Signor Presidente di Alleanza Nazionale. Chi ha tradito -e tanto platealmente- una prima volta, prima o poi finirà per risultare recidivo. Peraltro, politicamente parlando, la strada che mena da Marino ad Arcore non è poi tanto lunga. Specialmente se il vertice di AN si appalesa spesso e soprattutto volentieri più berlusconiano di Berlusconi.

 

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Detto tutto ciò, ci preme far presente che le radici dello striminzito vantaggio di Moffa affondano non in una presunta poderosità dell'intervento finiano, ma nelle fiacchezze, nelle infigardaggini, nelle coglionerie di una sinistra -e relativi alleati- la quale non si è resa conto, stavolta, che in una roccaforte della destra come Roma con ben altre armi, con ben altri ardori, con ben altra intelligenza, con ben altra accortezza avrebbe dovuto affrontare la prova.

Essa va ancor avanti con vecchie storie e storielle, per esempio la cosiddetta «pregiudiziale antifascista» -a pochi mesi dal XXI secolo, dal terzo Millennio; a oltre mezzo secolo dalla fine della guerra civile!-, mettendo nello stesso calderone del vero o putativo antifascismo tutto, tutti e il contrario di tutto e di tutti. E mentre dà corpo ai fantasmi butta nei ripostigli della politica e nei retrobottega della storia tutto il sociale possibile e immaginabile per gettarsi a corpo morto, vita natural durante, su quelle «riforme istituzionali» delle quali alla gente, a torto o a ragione, comincia a non fregare più nulla. Esse, peraltro, son come l'araba fenice: che ci sia tutti lo sanno, dove sia nessun lo sa.

 

Catilina

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