«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VIII - n° 1 - 15 Maggio 1999

 

Con le carte in mano, qualcuno bara

 

 

 

C'è chi si interessa e c'è chi fa da spettatore, c'è chi spera di trarne un vantaggio mentre la maggior parte rimane -purtroppo- del tutto indifferente.

Questo è il popolo italiano, che si trova di fronte ad un mazzo di carte, molto grosso e niente affatto nuovo, deposto da lui stesso in mezzo ad un tavolo, attorno al quale sono assisi alcuni giocatori. Il popolo li guarda e loro lo prendono, lo maneggiano e rimescolano gli oltre seicento pezzi -o elementi o membri o carte...- aperti alle più diverse combinazioni; giocando, ne saltano fuori d'ogni forma e colore, tris, scale e scalette, e qualcuna sembra addirittura avere qualche gradino... rotto! Di scalinate se ne vedono di rado, mai delle «scale reali».

Ma le combinazioni sono molte, davvero molte, e -talora- molto strane.

In tanta dovizia di possibilità e di intrecci, i giocatori, che non si fidano l'uno dell'altro, si tengono d'occhio, sospettosi e timorosi, perché vi scorgono incombente il pericolo che qualcuno ne approfitti per tentare qualche giochetto poco pulito; hanno ragione, misurano gli altri secondo sé stessi, perché ciascuno per proprio conto gradirebbe che le cose prendessero una piega favorevole al proprio mulino, e -potendo farlo- un qualche trucco non lo rifiuterebbero di sicuro.

Uscendo dalla metafora, il solito popolo ha sott'occhio un grosso edificio e dentro una bella sala con tanti seggi tutti in fila a gradinata chiamata emiciclo, dove seicento e più persone siedono, quando ci sono, a compiere il loro dovere in nome -perché lì ce li ha mandati appositamente a rappresentarlo- del succitato popolo spettatore; di questo, qualcuno s'è mosso per precisi e concreti interessi, qualcun altro per ragioni ideologiche (ma non sono molti...), qualcun altro ancora per indifferente spirito di emulazione, mentre molti se ne sono allegramente fregati e non si sono espressi affatto, per quel poco, a dire il vero, che esprimersi può servire. Torniamo nella metafora: i giocatori hanno scartato le carte valutate come inutili, ne hanno prese di diverse, sperando che siano risolutrici e fatto così il loro gioco, sotto il controllo di quello del banco pigliatutto. Capita talvolta, e questa volta è capitato, che al banco vada male e, pur di non pagare, abbia dovuto passare la mano, poiché scale e scalette, tris e combinazioni strane, giochi ingarbugliati, sono riusciti a dire «di no» al gioco del banco.

Usciamo di nuovo e diciamo che i seicento e più rappresentanti, messi di fronte ad una legge, la bocciano, ed il governo cade, ma non si rompe! Per non pagare con elezioni anticipate il banco passa la mano e nasce un governo che sembra nuovo; non sembra proprio che a qualcuno interessasse gran che dei miliardi che tali elezioni sarebbero costate, predomina invece il sospetto che l'attenzione fosse tutta per le molte poltrone a rischio.

Il nuovo banco prende in mano il solito grosso mazzo e lo rimescola, come sempre si fa davanti a qualsiasi tavolo da gioco, le combinazioni che ne escono sono naturalmente nuove e diverse, ma le carte, non meno naturalmente, sono sempre le stesse: nessuno l'ha nel frattempo cambiate. Continuando l'altalena tra fuori e dentro la metafora, anche i rappresentanti sono sempre gli stessi, mentre le vecchie combinazioni si sono rotte ed altre nuove ed inusitate si formano all'interno del consesso. Fatto è che la legge, che ieri hanno bocciato, oggi l'approvano, e -a dire «sì»- non sono le combinazioni neonate (diverse), ma i singoli (gli stessi), che mutano parere solo, si direbbe, per aver cambiato colore alla tappezzeria del seggiolone conquistato grazie al voto ed al non-voto del popolo spettatore, allibito di fronte all'ineffabile problema di coscienza dei rappresentanti medesimi. Chi ha rimescolato il grosso mazzo, con abili mosse di mani esperte, ha fatto volgere il gioco a proprio favore. Ora è ben chiaro che le carte -a differenza degli uomini- non hanno né coscienza né dignità da salvaguardare, vanno come vanno.

Ma di colui che le maneggia in modo da far perdere l'avversario si dice che «bara». E il popolo sta a guardare, come le stelle.

 

Renzo Lucchesi

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