«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VIII - n° 1 - 15 Maggio 1999

 

l'ultima

 

In ricordo di Pinuccio Tatarella

«La nostra identità è vincere»

 

 

 

Me ne stavo in disparte, circa dieci anni fa, durante il funerale di Beppe Niccolai, assorto in pensieri evidentemente non felici, quando una voce mi ha raggiunto: «Coraggio, sai benissimo che rimane con noi»; era Pinuccio.

Tatarella, anche lui venuto a Pisa -e la cosa non mi sorprendeva- a rendere l'ultimo emozionato saluto al suo fratello-avversario, al rappresentante dell'altra anima di un ambiente che viveva e si paralizzava nell'abbraccio di due opposte concezioni politiche e di due opposte strategie.

E se questa contraddizione ai piani bassi della politica era la fonte di un perpetuo clima da rissa dove gli insulti e la conta delle tessere erano spesso i motivi dominanti, più in alto qualcuno cercava di comporre produttivamente la forza che nasce dalla differenza. Ricordo, per esempio, un intervento nel comitato centrale del MSI, quando Tatarella ha reso in termini descrittivi questa situazione: «Da una parte c'è il nazional-laburismo di Beppe Niccolai e dei suoi amici che indicano una chiara scelta di identità e di progetto sociale; dall'altra una tendenza nettamente distinta, che intende modernizzare questo partito con un programma opposto dando voce, in tutt'altra direzione, a quella parte d'Italia oggi costretta a riconoscersi nella Democrazia Cristiana; occorre che le due proposte si confrontino ferocemente sul piano politico-culturale, che vadano ad approfondire, in questa sede di dibattito, le ragioni profonde del loro esistere; ma occorre anche, alla fine, che questa classe dirigente, condividendo il metodo di un moderno "centralismo democratico", sappia trovare una sintesi efficace che permetta di esprimere tutta la nostra energia progettuale. Questa sarà la prova della nostra maturità politica, perché questa capacità di grandi e forti mediazioni è la Politica»

Certo, Pinuccio Tatarella era anche tante altre cose, delle quali non mi interessa accennare; ma era soprattutto un incantatore che conosceva l'arte di «creare vincoli». Sapeva sedurre i più e sapeva tentare anche chi -come me ed altri più importanti di me- spesso non poteva acconsentire ai suoi ragionamenti. Che erano, comunque, ragionamenti pensati in grande anche quando, poi, si incarnavano in prassi politiche per lo meno discutibili. E, come i grandi maghi, sapeva rischiare, e perdere: come gli è accaduto al famoso congresso di Rimini. Ma perdere non era la sua abitudine e dalle sconfitte sapeva apprendere altrettanto che dalle sue fonti culturali così profonde e poco esibite, tanto che l'epitaffio con cui lo ricorderemo è una sua celebre frase, detta per troncare un dibattito troppo verboso: «La nostra identità è vincere!»

È un pensiero geniale, che solo qualche gregario in vena d'affarismo avrà potuto interpretare come la giustificazione di un facile pragmatismo. È, invece, un pensiero agonistico che risale alla Grecia di Eraclito. E solo Tatarella ricordava che, decenni fa, si tenne un convegno su «Eraclito precursore del fascismo»; ma questo lo diceva in privato, forse perché consapevole che l'eredità del fascismo deve agire in silenzio (magicamente?) e non più essere gridata retoricamente. Il che dovrebbe far riflettere i professionisti del coccodrillismo jettatore, quando titolano i loro necrologi stereotipati: «Non è mai stato fascista ma solo un acceso anticomunista».

In realtà, persino l'anticomunismo di Pinuccio Tatarella non gli ha impedito di dedicarsi a studiare la vita di Giuseppe Di Vittorio, capo delle CGIL, né di perdere una notte a discutere con me la biografia scritta da Trotskij sul giovane Lenin.

Se non fosse stato così, non sarebbe stato un mago, che conosce anche il lato oscuro del potere e i punti di forza dell'avversario. E, proprio perché mago, recuperava il pensiero dell'altro grande stregone nato dalle sue parti, quell'Aldo Moro che incantava con giochi di parole la politica italiana, trasformandola anche a prezzo di suscitare i demoni della più diversa natura, da Sereno Freato alle brigate rosse.

Un gioco, quello di Pinuccio Tatarella consapevolmente pericoloso, perché non si può raggiungere l'armonia della Polis se non attraverso percorsi accidentati.

Anche chi non era d'accordo con lui, anche chi, per esempio, continua a ritenere che fosse necessario «processare politicamente» il regime caduto con Tangentopoli e non invece recuperare i pezzi di un moderatismo che si oppone al cambiamento e alla trasformazione radicale della politica; anche chi, per raggiungere le stesse mète, continua a preferire altri percorsi non meno pericolosi ed accidentati, capisce di aver perso un riferimento, perché gareggiare con un campione ti costringe a crescere. E senti, interiormente, un «sottile dispiacere»; sottile perché sai, in fondo, che se un mago improvvisamente scompare, altrettanto improvvisamente riapparirà al tuo fianco, portando ancor più armonia.

 

Peppe Nanni

 Indice