«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VIII - n° 1 - 15 Maggio 1999

 

Memoria - Archivio

 

Rodolfo Graziani difese la Patria nella redenzione dalla ignominia dell'8 Settembre

Rodolfo Graziani ...

 

 

Subito dopo il tradimento e la resa incondizionata al nemico del re e di Badoglio con la loro fuga a Brindisi, nel Teatro «Adriano» di Roma il vincitore di Neghelli -insieme a una folta schiera di ufficiali e di altri combattenti- intraprese il riscatto dell'Onore nazionale forgiando le FF.AA. della Repubblica Sociale Italiana

 

In qualsiasi metamorfosi della Storia, specie in quella che ebbe tra gli autori di rilievo l'intrepido Rodolfo Graziani -maresciallo d'Italia- insieme a tanti, altri valorosi combattenti della Repubblica Sociale Italiana, allorché in uno di quei momenti più animati in cui l'essenza dei valori etici diviene motivo di continuità e di solidarietà da una generazione all'altra, si sono verificati drammi per la dappocaggine, per l'abiezione ed i richiami di coscienza, come specifica con chiarezza il docente universitario Jacques Pirenne nell'opera "Les grands courentes de l'Histoire universelle" (1955) su tale genere di circostanze, provocano sequele di episodi inclini a sconvolgere l'esistenza di Nazioni e di popoli, quindi le attitudini inerenti la Cultura, il Diritto, le scienze d'ogni Disciplina ed i basamenti d'equilibrio, con capovolgimenti cagionati dalla malafede di quanti introdussero in molteplici cittadini la sopraffazione del subconscio primitivo ed irrazionale per provocare (G. Lukas, 1954) la distruzione della ragione. È inutile rammentare che di questo rovesciamento di responsabilità di lealtà (contro il quale insorsero R. Graziani, J. V. Borghese, i generali M. CarIoni, T. Agosti, G. Manardi, A. Farina e parecchi altri conduttori delle Forze Armate) rimase vittima l'Italia -con tutte le sue genti- nell'anno 1943 e durante la fase più cruenta ed altrettanto incerta del 2° conflitto mondiale (19391945) allorquando qualsivoglia spostamento di Unità militari, trasformazione di strategia e di tattica ed un diverso impiego dei reparti operanti nei diversi scacchieri bellici potevano ribaltare l'eventualità di vittoria in sconfitta, oppure viceversa, per ogni schieramento in lizza.

È lo studioso Henri Michel a precisare in materia, nella sua dettagliata "Storia della 2ª Guerra Mondiale" (1977), che tale conflitto soltanto all'inizio del 1943 cominciò ad assumere il suo vero ruolo (vol. 1°, p. 469) sebbene le commissioni di governi, di diplomatici e di comandi militari fossero ben distanti -in entrambe le parti di contendenti- da un progetto di strategia comune con i rispettivi alleati. Tuttavia, la «disfatta dell'Italia» divenne l'obiettivo preminente per gli USA e nel Regno Unito (W. Churchill definì alla «conferenza di Casablanca» già nel gennaio 1943 il Regno sabaudo l'autentico fianco molle dell'Asse e dei suoi alleati) pertanto, riuscendo gli anglo-statunitensi ad annientare la resistenza italo-germanica nel bacino del Mediterraneo, Washington e Londra potevano esibire a Stalin l'avvenuta «apertura» della seconda fronte sul Vecchio Continente, riducendo così (per riflesso) la potenza di pressione militare della Wehrmacht nelle vaste regioni dell'URSS -le battaglie di Voronezh, di Kursk e di Kharkov confermarono in quei momenti il rilevante impegno delle forze germaniche nell'Oriente euroasiatico- e consentendo loro altresì d'intraprendere i preparativi per l'operazione "Overlord" (il piano di sbarco yankee e inglese in Normandia) tra Cherbourg e Le Havre, cioè l'annientamento dell'Europa.

Inoltre, sia gli anglo-americani quanto i sovietici sapevano benissimo che il progetto tedesco delle Vergeltungswaffen (armi di rappresaglia) non rappresentava unicamente un espediente propagandistico dell'arguto ministro J. P. Goebbels oppure del quotidiano "Vólkischer Beobachter" (portavoce ufficiale del NSDAP, cioè del partito nazionalsocialista tedesco) che, già quando la VIª Armata di von Paulus venne travolta dall'Armata Rossa a Stalingrado (4.2.1943), annunciò a piena, prima pagina: «Sie starben, damit Deutschland lebe», cioè sono morti affinché la Germania viva, bensì significava le ricerche degli scienziati germanici per le armi segrete, a Peenemunde e altrove, che includevano la realizzazione della bomba atomica e di altri, più efficienti strumenti bellici di distruzione, decisivi per l'esito del conflitto.

 

Tra giostratori e voltagabbana

Nel contempo, già nel giugno 1943 -soltanto un triennio dopo il suo intervento nel conflitto- l'Italia, le FFAA. regie e le popolazioni rimasero travolte dall'inasprimento in crudeltà dell'intero ciclo bellico, mentre tanti eroismi dei combattenti e la volontà di autentico patriottismo di molti cittadini non furono sufficienti a rendere innocui i giostratori dell'opportunismo, i voltagabbana a caccia soltanto del tornaconto individuale e i transfughi da qualsiasi responsabilità.

Infatti, allorché sulla Patria s'abbatté l'angoscia per il dramma dell'ARMIR (l'Armata italiana in Russia) nel bacino del Don, quando per la sconfitta tra il Mareth e Tunisi si esaurì la presenza militare italiana in Africa Settentrionale, mentre il nemico occupò le isole di Lampedusa e di Pantelleria senza difficoltà, le incursioni terroristiche di RAF ed USAAF (fu il momento dei quadrimotori Lancaster e delle Fortezze volanti B17) annientarono la funzionalità civile di Torino, Milano, Bologna, Genova, Pisa, Orte scalo, Roma, Napoli, Foggia e Battipaglia anche per interrompere le comunicazioni ferroviarie e le vie di rifornimento nella penisola (R. Zangrandi, "L'Italia tradita", 1971) annullando contemporaneamente la rispondenza di vertici politici e militari contro il caos, sino a subire l'invasione nemica di Sicilia senza la minima volontà di rigettare nel Mediterraneo gli attaccanti, trasformandosi infine in vittime di tanta tragedia, e basta.

È ovvio che in quell'atmosfera i giostratori, i voltagabbana ed i vili facilitarono i cospiratori del colpo di Stato del 25 luglio, quanti abbatterono il regime fascista dopo avere utilizzato tutti i suoi benefici politici e sociali, gli opportunisti dei 45 giorni del governo Badoglio ed i favoreggiatori della resa incondizionata al nemico.

Per quest'Italia crocifissa, Benito Mussolini descrisse meglio di qualsiasi altro ("Storia di un anno: il tempo del bastone e della carota", 1944) i dettagli della riunione del Gran Consiglio del Fascismo (notte 24-25 luglio) e sull'approvazione dell'O.d.G. di Grandi e altri congiurati, i particolari del suo arresto a villa Savoia predisposto dal piccolo re, della sua prigionia a Ponza, alla Maddalena e poi sul Gran Sasso, mentre sui riflessi in Europa e nel mondo di quel complotto si deve riscontrare che già il 27 luglio l'OKW (il Comando Supremo germanico) impartì a E. Rommel, A. Kesserling, K. Studente H. Vietinghoff l'ordine di predisporre il «piano Alarico» (S. Francia, "La Repubblica Sociale Italiana e il contesto internazionale", 1995), quel progetto d'azione distinto in quattro fasi:

a) Eiche, liberazione di Mussolini;

b) Student, conquista di Roma e ritorno di un governo fascista in Italia;

c) Achse, cattura della Flotta italiana nel caso di armistizio separato da parte dei Savoia e di Badoglio;

d) Schwarz, neutralizzazione delle FFAA. regie in seguito alla resa italiana al nemico. Dopo l'8 settembre, unicamente l'operazione Achse del «piano Alarico» ai tedeschi fallì, ma la corazzata Roma (t. 44.050, nave ammiraglia della nostra Marina da Guerra) colpita dalla Luftwaffe nel pomeriggio del 9 settembre in prossimità dell'Asinara, s'inabissò nel mare con l'ammiraglio C. Bergamini ed altri 1255 marinai di equipaggio.

 

Decisa rivolta alla resa vile

Gli ascoltatori italiani della propaganda psicologica dei cosiddetti alleati rimasero parecchio... soggiogati dalle audizioni delle emittenti radiofoniche quali la "Voce dell'America" con Fiorello La Guardia e da quella britannica di "Radio Londra" con il colonnello Stevens (L. Mercuri, "La «quarta arma», 1942-1950", 1998) nonché dalle radiodiffusioni nell'etere da Algeri, Tunisi ecc., tutte trasformate in arsenali della democrazia soprattutto nell'alterazione della verità e specie nel corso della loro intera prima periodizzazione (1943-1945) in quanto, impiegando anche i neopaladini della classe antifascista (mestiere parecchio redditizio dopo il 25 luglio!), segnalarono anche ai ribelli di GAP -in agguato dopo l'8 settembre nei territori non invasi del Centro e del Nord della Penisola- i nominativi degli esponenti politici e militari della Repubblica Sociale da eliminare anche fisicamente, cosicché Giuseppe Prezzolini su "Cosmopolita" (Anno 11, n° 44, 8.11.1945) precisò quanto «manca negli Stati Uniti un sentimento fondamentale per intendere la Storia, ed è per questo che "la Storia è tragedia". Ora, il pubblico americano da questo orecchio non ci sente». Su tale grave carenza, fu addirittura Stalin che nel 1945 rimproverò a F. D. Roosevelt (alla conferenza di Yalta) e poi a Truman (in quella di Potsdam) quanto, pochi mesi dopo, Prezzolini sostenne in merito alle responsabilità dell'eliminazione di fasi storiche dalle cronache e dalle vicissitudini dell'Umanità. Ma esaminiamo ciò che determinò nel Soldato italiano l'autentica rivolta all'ignominia della capitolazione incondizionata al nemico, quella -da codardi- della dinastia Savoia, di Badoglio e dei suoi ministri, dell'intero Comando Supremo delle FFAA. regie con i generali V. Ambrosio, M. Roatta (Esercito), R. Sandalli (Aviazione) e con l'ammiraglio R. De Courten, e all'altra di loro fuga. Chiunque ha memorizzato i concetti e gli elementi fondamentali della Storia -dalle civiltà della Mesopotamia, con l'apogeo dei Sumeri e l'affermazione del codice di Hammurabi, sino al sacrificio di Goffredo Mameli, alle persecuzioni contro G. Mazzini, all'ardimento di E. Toti e all'eroico sacrificio di Berto Ricci- incontra notevoli difficoltà a riscontrare un tradimento verso i combattenti e riguardo gli alleati tanto empio quanto quello dell'8 settembre, divenuto ignobile con la fuggita collettiva di regnanti, governanti e alti ufficiali sotto la protezione del cinico britannico Montgomery, per di più senza lasciare ordini effettivi per le truppe (il «piano» Memoria 44 OP di Roatta si rivelò soltanto strategia da operetta) tanto che conseguì da parte germanica il disarmo di 80 Divisioni italiane dislocate sia in Patria, quanto in Francia, nei Balcani, in Albania, in Grecia e nell'Egeo, al quale seguì la prigionia nei Lager per 547.531 nostri militari e si addensò sui civili una condizione altrettanto catastrofica, quella di disfatti senza illusioni di pace.

 

Per la rinascita dell'Italia vera

Il rifiorire della Patria quale Nazione legittima si distinse all'inizio d'autunno 1943 con attuazioni significative. Sul piano politico, venne istituita la Repubblica Sociale, in contemporaneità alla formazione del nuovo governo di B. Mussolini (23 settembre), che in materia legislativa si documentò mediante la pubblicazione quotidiana -esclusi i giorni festivi- della Gazzetta Ufficiale d'Italia curata da A. di Crollalanza, seguì l'elaborazione del progetto di Costituzione della RSI completato dal ministro C. A. Biggini, si svolse anche il 1° Congresso del PFR da cui -per volontà di A. Pavolini- scaturì il "Manifesto di Verona" con i suoi 18 Punti, più incisivi specie sull'ordinamento produttivo e nell'equilibrio dei redditi per qualsiasi categoria sociale. Sul piano militare, la designazione di Rodolfo Graziani a ministro della Difesa condusse il vincitore di Neghelli -dal suo ritiro nei Piani di Arcinazzo- all'approntamento dell'Esercito Nazionale Repubblicano per il riscatto dell'Onore d'Italia dopo la resa incondizionata di Badoglio al nemico l'8 settembre, in particolare quale novello Cincinnato (così lo definì Fausto Rofi nell'articolo "Tenace, volitivo, ardito generale scipionico d'Italia", a pag. 25 del n° 22 del novembre 1943 della rivista "Signal") ad adeguare le risorte FFAA. italiane alle principali esigenze operative del 2° conflitto mondiale.

La consacrazione di questo, autentico Risorgimento repubblicano per l'Italia avvenne al Teatro «Adriano» di Roma il 1° ottobre, quando Graziani -nel suo discorso ad oltre quattromila ufficiali ed altri valorosi combattenti intervenuti per condannare dinanzi al mondo l'ignominia della fellonia sabauda e di Badoglio- precisò che «chi vi parla è il maresciallo d'Italia il quale, durante la sua lunga vita di soldato, ha conosciuto la mala sorte, il sole della gloria e l'ombra dell'ingratitudine. Adesso egli è chiamato dal destino a stringere intorno a sé gli Italiani per cancellare la macchia della vergogna con la quale l'infedeltà e il tradimento hanno deturpato la bandiera d'Italia. La base di ogni tradizione militare è il senso dell'Onore. Non il Popolo italiano e neppure le sue Forze Armate possono essere accusate di disonore e di tradimento. È stato, insieme a Casa Savoia, un uomo di nome Badoglio, che ha perso il diritto di chiamarsi Ufficiale avendo, egli, non soltanto tradito i nostri alleati germanici, nipponici e delle altre Nazioni impegnate con noi nella lotta comune, ma ha ingannato altresì tutto il Popolo italiano con uno degli atti più disgustosi che la Storia degli uomini abbia conosciuto nell'intero suo corso, un atto tale da compromettere tutto un Popolo per generazioni e generazioni davanti al Mondo nel suo Onore, nel suo credito e nella sua stessa capacità i contrarre nel futuro accordi e alleanze».

Sull'insufficienza della preparazione e delle attrezzature delle FFAA. italiane nel periodo 1940-43, Graziani aggiunse: «Nei messaggi di odio, di cecità, ch'egli (Badoglio, N.d.R.) ha testé indirizzato dal campo nemico alla nostra gente infelice e martoriata, trascinata da lui nella catastrofe, egli ha tentato ancora di giustificare il suo obbrobrioso voltafaccia col parlare dello sfavorevole andamento delle operazioni militari. Ma chi porta la responsabilità di tale sfavorevole andamento se non lo stesso Badoglio che, quale capo di Stato Maggiore Generale, nei ventun'anni decisivi precedenti al conflitto, dirigeva con piena responsabilità l'armamento della Nazione? Chi, se non lui, che fu capo di S.M.G. durante la preparazione e l'inizio della campagna in Grecia e nella prima fase della campagna in Africa Settentrionale? Davanti alla Storia e davanti ai nomi intemerati dei nostri commilitoni caduti per la grandezza d'Italia, io pronuncio perciò solenne accusa contro quest'uomo che, abbandonandosi a oscuri istinti e a torbide influenze, ha la colpa dell'insufficiente preparazione delle Forze Armate d'Italia».

Fu quello l'istante di nuova vita del Soldato italiano che all'«Adriano» e poi sull'Altare della Patria issò il vessillo tricolore dell'Esercito Repubblicano per ridare alla Nazione l'intera virtù del suo Onore.

Nessuna calunnia potrà mai deturpare quell'evento storico.

 

Non coll'oro si ottiene la pace

«Non coll'oro si vincono le guerre, ma colla virtù, col coraggio e colla concordia» precisò Machiavelli, quando Botticelli (1496) dipinse "La Calunnia" per denunciare le cronache fiorentine costellate di congiure, pugnali e veleni, e ciò lo rammentò nell'autunno '43 agli Italiani il ministro F. Mezzasoma con un manifesto contro la minaccia della «guerra civile», ma l'epopea della Repubblica Sociale e delle sue FFAA. ebbe per fine essenziale il Riscatto dell'Onore Nazionale che, a conferma di quanto ribadito da Graziani in "Una vita per l'Italia - Ho difeso la Patria" (1950), univa i soldati ed i cittadini alla conquista d'una «Pace onorata» per il nuovo Stato, fedele alla tradizione delle arti del Rinascimento ed alle glorie del Risorgimento. La Repubblica Sociale sentiva -specie nelle FFAA.- quell'Italia nuova già sognata da G. Carducci in sanità di vita (nel discorso del 19 maggio 1886 al popolo di Pisa ribadì: «O sole, tu non possa vedere mai nulla più grande e più bello d'Italia e di Roma»), capiva di G. Pascoli gli endecasillabi dell'"Hymnus in Roman" (1907) ed esaltanti le strade e le legioni romane operanti in difesa del Diritto, assorbiva da G. D'Annunzio in ogni cuore la sua "Laude agli Eroi" -elevata in Elettra (1903)- con il "Canto augurale per la Nazione eletta" che inneggiò «Italia, Italia, sacra alla nuova Aurora, con l'aratro e con la prora!», tutti valori appartenenti alla realtà storica consacrata da Graziani, dagli ufficiali e dagli altri combattenti confluiti all'Adriano e poi sull'Altare della Patria con sinceri proponimenti patriottici nel fulgore del Tricolore repubblicano.

Quella volontà, davvero eroica, è stata particolareggiata da una poesia.

 

È spontanea, semplice e profonda, scritta dal capitano Bonola (Rgt. Paracadutisti Folgore dell'Aeronautica Nazionale Repubblicana) in prigionia di guerra -a Coltano- nell'estate cupa del 1945 XXIII E.F. ed intitolata «Non ho tradito!». Ci rammenta:

 

«Tremar dovesse la terra, sotto

il tuo gagliardo passo d'ardito,

tu va sicuro, con il tuo motto:

NON HO TRADITO!

 

Se l'ira cieca, se l'odio tetro,

al tuo passar ti segna a dito,

rispondi senza guardare indietro:

NON HO TRADITO!

 

Se l'ingiustizia, se la vendetta,

per la tua fede t'avran colpito,

la tua parola tu l'hai già detta:

NON HO TRADITO!

 

Se nel tuo sangue tu giacerai,

spirito invitto, corpo ferito,

più fieramente risponderai:

NON HO TRADITO!

 

E se la morte che t'è d'accanto,

ti vorrà in Cielo, dall'infinito

s'udrà più forte, s'udrà più santo:

NON HA TRADITO!»

 

È questa la vera leggenda di Graziani e dei suoi Soldati in grigioverde, e divenne la sinfonia eroica della Repubblica Sociale e di tutti i suoi Combattenti da Anzio a Nettuno al Friuli Venezia Giulia e Dalmazia, dalla fronte sul Senio a quella sulle Alpi occidentali. Fu intonata all'Adriano e sull'Altare della Patria il I ottobre 1943 e, adesso, appartiene alla nostra Storia. Quella che noi continuiamo.

 

Bruno De Padova

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