«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VIII - n° 2 - 31 Luglio 1999

 

Scetticismo e noia

 

 

«Io stesso debbo qualche gratitudine al fascismo perchè m'infuse come una nuova giovinezza, riempiendomi di accresciuta operosità e di spiriti combattenti»
Benedetto Croce
Napoli, discorso agli allievi dell'anno accademico 1949-'50

 

 

Nonostante l'insoddisfazione con cui da molte parti si guarda alla vita pubblica, l'atteggiamento negativo nei confronti del governo del Paese, l'impopolarità di cui soffrono i partiti, il discredito del regime parlamentare e democratico, non si nota reazione alcuna.

È vero, oggi il regime ha tutti i mezzi per incapsulare, fissare e determinare la vita dei sudditi; può controllare gli strumenti mediante i quali riesce a far accettare, come fatalità, l'imposizione di capi talvolta abili, talaltra prepotenti. Siamo impauriti, e l'ossessione di quell'infinito intreccio di combinazioni che ci sono necessarie per far giungere in casa i mezzi di sostentamento è tale da darci le vertigini. Stiamo riducendoci alla forma immutabile del formicaio o dell'alveare, cioè qualcosa che non è più una società umana, e anzi, nel senso dei valori, ne è l'opposto. E sappiamo quanto sia adattabile l'essere umano, e quanto, l'essere umano sia suggestionabile e abitudinario. Eppure, mai come oggi l'uomo ha avuto bisogno di sentirsi organicamente assicurato nelle sue fondamentali necessità e, mai come oggi, questa sicurezza dipende da un vasto, fitto e delicato sistema di rapporti.

Si dice che la macchina minaccia di prendere la mano all'uomo; ma c'è un'immensa macchina, assai meno tangibile di quelle che funzionano nelle fabbriche, la quale si serve di esse per affermare il suo predominio, e che veramente ha preso la mano all'uomo, perchè si tratta di un congegno governato da alcuni uomini. Questi pochi uomini, in Italia e fuori, vivono oggi assai più dispendiosamente di quanto non facessero dieci o vent'anni fa, ma soprattutto controllano e dominano il consumo di tutti gli altri con un potere di arbitrio di cui forse tutta la storia non ci presenta l'eguale. Non è affatto scomparsa la schiavitù (anzi, in certi casi, è ricomparsa in forme più atroci di quelle del passato), e, comunque, in forme indirette e subdole una nuova specie di semischiavitù è diffusa in Italia. La schiavitù al regime, è assai peggiore di quella verso i particolari. Il regime ha meno interesse alla buona conservazione dello schiavo, e rimpiazza con maggiore facilità i vuoti che il lavoro e i disagi si possono formare nella massa degli schiavi. I managers (lo avete notato? tutto sta divenendo azienda: le ferrovie, le poste, la sanità...) hanno nelle loro mani la vita dei cittadini -che io preferisco definirli sudditi- a tutti gli effetti; prevalendo la forma cosiddetta «democratica», essi operano su un doppio fronte: da un lato, manovrano le leve capitalistiche e imprenditoriali; dall'altro, manovrano i partiti, grandi o piccoli che siano (ecco la ragione della loro proliferazione), quindi, il parlamento e i sindacati; controllando, ai loro fini, tutto l'interventismo statale e la pianificazione economica che sono con, sentiti o necessitati dalle varie situazioni locali.

C'è possibilità di riscatto? Io credo di sì. Sempre più mi convinco che il fascismo fosse un atto di volontà. Non mi interessano i «se» e i «ma», ovvero guerre, persecuzioni ed altro: sono i rumori della Storia. Rileggo invece, sempre più spesso -e sempre più convinto- quanto avesse ragione Camillo Pellizzi quando scriveva, nel 1948: «Il rimprovero che un fascista italiano deve fare a sè stesso, a giudizio nostro, non è quello di aver tentato, ma di aver tentato senza il vigore morale e il rigore intellettuale che il tentativo esigeva. Il suo vero insuccesso non fù una guerra perduta, bensì una "rivoluzione mancata". Il problema da cui il movimento prendeva le mosse non era, d'altronde, fittizio: esso è reale ancor oggi, dominante e acutissimo. L'esigenza attuale non è di rifare il fascismo, fenomeno storico ormai concluso, ma di intendere con serietà ciò che si volle e ciò che si fece allora, e trarne insegnamento. Il "volere" che non diventa "fare" non è volere, ma velleità. La velleità, per parte sua, non è mai cosa interamente negativa, poche contiene ed esprime una esigenza sentita e non soddisfatta. Spetta al teorico isolare questo elemento, e denunciarne informe logiche lo iato e il dissidio tra ciò che si volle veramente e ciò che si sarebbe voluto. Poichè la "velleità" su cui cadde il fascismo è ancora in gran parte presente e attiva, anzi, è il problema più tormentoso del nostro tempo, capire l'insuccesso del fascismo significa, in buona parte, capire il massimo problema politico dell'epoca in cui, pur così precariamente, viviamo.»

Guardiamoci intorno. Non pensate ci sia veramente necessità di riporre la questione «fascismo» (non quello del 2000, predicato ieri da un cialtrone, analfabeta della Storia e alfabeta della cultura che ha ora acquisito anche la convinzione di avere la facoltà di barrire - ma gli elefanti sono indubbiamente più bravi e intelligenti) all'attenzione degli italiani?

 

a.c.

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