Anno VIII - n° 2 - 31 Luglio 1999
la rivolta
AN:
Segni
particolari nessuno
Il terzo, strameritato capitombolo di Gianfranco Fininvest -dopo la comica della vittoria/sconfitta al referendum per l'abolizione della quota proporzionale e il tracollo alle comunali di Trento- ci ricorda una vecchia pellicola sulla carriera, se la memoria non ci inganna, del compianto Nanni Loy. Si tratta di questo: il «guaglione» troppo bravo e, soprattutto, troppo supponente della cosca che, ad un certo punto, ritiene di potersi sostituire al suo boss nel controllo del mercato napoletano del pesce entrando in concorrenza spietata con lui. Finirà come non poteva non finire, col suo corpo privo di vita su di un marciapiedi in un lago di sangue. Fuor di metafora, queste elezioni per il Parlamento di Strasburgo erano state temerariamente programmate dal Giovin Signore per una resa dei conti, all'interno del sedicente «Polo delle Libertà». A tal uopo si era alleato con Mariotto Segni, Imperatore del Nulla e menagramo patentato; dichiarando di ciò fare per «andare oltre il Polo», democratizzarne la leadership con lo strumento delle «primarie», riequilibrarne i «rapporti di forza» fra le componenti. Se a questo si aggiunge che Berlusconi vede il buon Mariotto -detto anche Variotto per la molteplicità delle esperienze e la varietà delle alleanze- come il fumo negli occhi; se, per soprammercato, si tiene presente che tutta la campagna elettorale stata condotta da Alleanza Nazionale all'insegna dell'accusa al Ras di Arcore di praticare una strategia «consociativa» di aggancio alla Sinistra; se si fa riferimento alla dichiarata intenzione di un pescaggio elettorale tracimante i limiti dell'ambiente di destra per irrompere nelle zone del moderatismo, tradizionale appannaggio di Forza Silvio, si avrà il senso della misura e della intensità della cervellotica sfida finiana. Come sappiamo, al tirar delle somme l'ex-pupillo di Almirante -«quoque tu Gianfranco, Fini mi!»- si è trovato con le natiche sul pavimento, con le ossa rotte, con i sogni di gloria più che mai modugnanamente proiettati verso «il blu dipinto di blu». Credeva, il Nostro, di andare sull'attico ed è finito in cantina. Il Cavaliere esulta, beffardo, dall'alto dei quindici punti di distacco che lo separano dal «guaglione» inopinatamente ammutinatosi. Gianfranco, ormai più che mai Fininvest dopo la batosta, «ha fatto la mossa», cioè ha dato le dimissioni sapendo perfettamente che non sarebbero state accettate da un gruppo dirigente di vili e di opportunisti, come lui responsabili di avere stravolto il senso profondo e il ruolo storico di un partito che, certo, non poteva e non doveva venire incartato nel nostalgismo, nel protestatarismo, nel liturgismo simil-Ventennio, ma neppure doveva platealmente e, soprattutto, strumentalmente rinnegarsi onde vendersi al migliore offerente. Nella fattispecie, al Creso meneghino di Ghino di Tacco -ossia Craxi- degnissimo amico. Del resto, cosa ci si poteva aspettare da quella autentica Pecorolandia che in non lontani tempi, aveva celebrato i suoi nefasti fasti in quel di Fiuggi, accodandosi all'ex-fascista intransigente -Number One della covata di Almirante- nel giuramento «antifascista», gettonatissima pulcinellata sul palcoscenico dove, per dirla con Berlusconi, si produce il «teatrino della politica?» Nulla di buono, è chiaro. Va da sè che ove in AN fosse veramente una verace opposizione -anche se moderata, anche se non di alternativa al Capo, anche se gradualisticamente innovativa nell'ambito del «Polo»- essa si sarebbe efficacemente manifestata chiedendo conto a Chi di dovere della dissipazione di un terzo del patrimonio elettorale del partito. E invece la non-opposizione si è fatta maltrattare ancora una volta dal Proprietario, che, invece di fare autocritica, ha affermato di non rinnegare l'accordo con Segni. Detto da un rinnegatore recidivo e professionale non è poco, è giocoforza ammetterlo. Tuttavia pare a noi acconcio applicare a quello che, ormai -chiacchiere presuntuose e megalomanie a parte altro non è che un rappresentante della Corona di Arcore- una celebre battuta di Ennio Flaiano: «L'insuccesso gli ha dato alla testa». Il brutto risveglio di colui che, ragazzo, decise di darsi alla politica a causa di alcuni gruppettari imbecilli che gli avevano impedito di vedere il film «Berretti Verdi» protagonista il maccartysta John Wayne, si è fatto ancora più amaro nel momento in cui si è accorto che Berlusconi gli ha costruito un partito nel partito: il partito berlusconiano, per l'appunto. Vera e propria quinta colonna, se ne renda conto o meno, vogliosa di fare di AN uno specchiato possedimento coloniale di Forza Silvio. Vediamo cosa dice "il Corriere della Sera" per la penna di Paola Di Caro: «... si profilano due linee se non opposte comunque conflittuali: quella di Fini, convinto che l'esperienza dell'Elefante non è da accantonare e che va perseguita la strada dell'allargamento del Polo, di AN, in ogni direzione: quella degli uomini più vicini a Berlusconi che chiedono per AN un ruolo più da "destra, senza sconfinamenti in aree altrui e soprattutto senza conflitti con il Cavaliere"». Capita l'antifona? Ma leggiamo gli alati pensieri di qualcuno di questi berlusconiani DOC del post-fascismo fiuggiasco. Maurizio Gasparri, già sindacalista della CISNAL quando ancora, con Ivo Laghi, questa era una caricatura di sindacato. Inoltre, ex-proconsole di Fini a Roma prima del siluramento presidenziale causato da insufficienza del lavoro politico ed elettorale. «Allargare il Polo? Se non crea conflitti con Berlusconi va bene, altrimenti tra l'unità del centrodestra e Segni io preferisco la prima. Io voglio la guida di Fini e un partito che fa la destra. Il tanto parlare di leadership e primarie non è stato un toccasana, si è visto com'è andata a finire.» Insomma: « O vendetta tremenda vendetta / di quest'anima è solo desìo». Ora che il lider maximo è nelle peste, il buon Gasparri, che ancora non ha metabolizzato la giubilazione sul campo, non si fa pregare per rifilargli un paio di irose pedate. Ignazio La Russa, detto anche Satanik, a cagione delle demoniache fattezze. Tutto considerato, un buon diavolo anche se a Gianfranco Fininvest non gliele manda a dire. E senza peli sulla lingua, anzi sulla penna. Ecco: «Nell'operazione Segni, siamo stati troppo generosi e troppo precipitosi. Adesso? Bisogna riprendere i princìpi di Fiuggi (figuriamoci!!! N.d.R.): una destra che fa la destra alleata agli altri partiti del Polo». Gustavo Selva, vecchio falco reazionario, pezzo pregiato della rottamazione vetero-democristiana: «Bisogna ritrovare tutti i motivi che ci uniscono a Berlusconi (alleluia!!! N.d.R.) e che negli ultimi tempi sono stati trascurati da una parte e dall'altra». Non si smentisce mai l'ottimo Gustavo. Dice con la massima serietà le stesse identiche cretinate di cui gratificava gli ascoltatori del servizio pubblico radiofonico negli Anni Settanta. All'epoca, cioè, di «Radio Belva». Non manca, a vero dire, qualche pretoriano che si cimenta nella sovrumana impresa di difendere le coglionerie finiane. Per esempio Francesco Storace, presidente della Commissione Parlamentare della RAI-TV, leader a Roma per grazia partitocratica e per volontà di Gianfranco Fininvest al posto del summentovato Gasparri. Tra l'altro, lo Storace sarebbe, solo il buon Dio sa perchè, capo della fantomatica «destra sociale». Vediamo: «L'operazione con Segni andava fatta (perchè? N.d.R.), si è visto dal voto della Bonino: l'idea di allargare il Polo era giusta, magari avessimo cercato un dialogo forte con Pannella... Forse è stata sbagliata la comunicazione: servivano più spot che comizi.» (Ma allora, caro amico, a cosa giova il sodalizio con il Paperon dei Paperoni di Arcore se, alla prima elezione con la proporzionale, i reggenti dell'impero mediatico berlusconiano ti sbattono la porta in faccia e monopolizzano lo spazio propagandistico nelle megatelevisioni e nelle sue testate giornalistiche?) Conclude, il luogotenente di Fini, con una quasi invettiva dardeggiata in direzione del Cavaliere: «Se uno è leader e al governo non ci va, allora è leader di che cosa?» Beh, questa proprio non l'abbiamo capita. Secondo Storace, non esiste leadership se non si sta nell'area ministeriale. Ma allora, che so io, Almirante, Michelini, Togliatti, Giannini, Vecchietti etc. non sono stati leader politici? A leggere certe cose par di sognare... Anche Gianni Alemanno, il famoso Galeazzo Ciano formato tascabile, ritiene di dover dire la sua. Seguiamo: «I problemi li avevamo già da tempo, la struttura è carente, l'effetto novità non porta più voti a noi ma alla Bonino. Serve un congresso straordinario, dobbiamo ridefinirci. Con Fini leader: è la risorsa maggiore che abbiamo». Un bel suonatore di sviolinate per «quelli che contano», questo Galeazzino, non c'è che dire. Quando si trattava di mettere a frutto la protezione/parentela la «risorsa maggiore» era Pino Rauti. Da quando si trova dall'altra parte della barricata penna e ditirambi sono tutti per l'apostata felsineo/marinese. Meglio: erano. Perchè il già rivoluzionario, nazionalpopolare, socializzatore, erresseista, mussoliniano anticapitalista ha capito che per l'ex-osannatissimo mala tempora currunt. E allora si colloca davanti al Muro del Pianto e scopre che il partito ha un sacco di «problemi» da tempo immemorabile, che «la sua struttura è carente», che «l'effetto novità» indirizza i voti verso altri lidi, che AN deve «ridefinirsi». E che tutte queste cose debbono formare oggetto di dibattito in un congresso straordinario che servirà a Galeazzino per capire bene se il padrone è ancora Gianfranco Fininvest oppure no. Diamine, un personaggio rampante della sua fatta deve pur mettersi in condizione di giovare alla propria carriera! Magari con l'ennesimo tradimento, con il solito voltafaccia, con il consueto cambio di gabbana, con le periodiche piroette. L'onorevole perchè deputato Gianni Alemanno passa per uno dei punti di riferimento della fantasmatica «destra sociale». Non è da escludere che, se gli converrà, nell'astrattamente vagheggiato congresso straordinario o in altra sede e occasione vorrà ancora sfoggiare tale patacca. Ma fin da adesso neghiamo ogni credito a questo versipelle di lusso. Noi abbiamo la memoria lunga e ben ricordiamo che quando si trattò di prendere posizione sulla proposta della settimana lavorativa di trentacinque ore costui, nella sua qualità di responsabile del Settore Problemi del Lavoro del partito dei Fiuggiaschi, ebbe la faccia di tolla di emanare un comunicato ufficiale con il quale informava l'inclita e la guarnigione che si proponeva di contattare la Confindustria al fine di un'azione comune diretta a privare di questa riforma le classi lavoratrici. Con tanti distinti saluti al magistero mussoliniano del «lavoro soggetto, non oggetto dell'economia». Fini non ha problemi per quel che concerne le esigenze della vita di sussistenza. Infatti se i berlusconiani di casa sua dovessero dare soluzione di continuità alla precaria vicenda di leader, potrebbe pur sempre trovare lavoro in un giornale umoristico o in un avanspettacolo di provincia essendo dotato di una innegabile propensione per il comico. Per convincersene è sufficiente scorrere le dichiarazioni da lui rese dopo la profligata del 13 giugno. Vediamo: «Ho tanti difetti, ma non quello di cambiare idea rapidamente». Dove non si sa se deplorare maggiormente la sfacciataggine e il cinismo di cui dà prova questo Fregoli della politique politicienne o le rattristanti performances di operatore dello spettacolo nel teatrino dove insieme a lui e con diseguale fortuna fanno il loro numero -dando i numeri- bravi e mediocri clown dell'estrema destra. Ovviamente il Pannella, la Bonino, il Segni, il Casini (un nome che è tutto un programma!) e via elencando. Pensate. Questo magliaro che afferma di «non cambiare idea rapidamente», in un giro piuttosto breve di anni è passato dall'intransigentismo fascista ed erresseista di almirantiana memoria alla buffonata di Fiuggi, con il suo ridicolo giuramento «antifascista» guarnito di strumentalissimi riconoscimenti e scappellate ai vincitori italiani e stranieri del '40-'45, tanto da dare la sensazione che si accingesse a idealmente rivendicare per il suo partito il ruolo di settima componente del Comitato di Liberazione Nazionale. In un breve giro di anni, abbiamo detto. Ma nell'ambito di questo arco temporale è bastata una manciata di mesi per passare da «Mussolini più grande statista del secolo», dalla parola d'ordine «MSI fascismo del Duemila», dal comizio all'Adriano con Jean Marie Le Pen, al cospargimento di cenere sul capo con la dichiarazione della «necessità dell'antifascismo per dare la libertà al popolo italiano». Fosse stato sincero, avesse agito con onestà intellettuale, si fosse comportato con serietà ed eleganza spirituale, non avesse piegato l'analisi storica all'esigenza del più banalizzante tatticismo nulla quaestio. Si sarebbe trattato di un normale fenomeno di lajolismo, stavolta esploso a destra. Ma, conoscendo il tipo, è assolutamente da escludere che la vicenda umana e politica di Fini sia così connotabile. Sappia il Lettore che questi squallidi episodi di trasformismo se possono consentire di vincere alcune battaglie mai e poi mai permetteranno di vincere una guerra. Ragion per cui il Giovin Signore di via della Scrofa (mai strada fu più appropriata per quel partito!) e per la sua gente, il 13 giugno 1999 è già cominciato il conto alla rovescia. Si trovi egli o meno al summit di Alleanza Nazionale. Li aspetta una Geenna graduale ma inesorabile, lastricata di spot e di miliardi berlusconiani. Diversamente dalla classe operaia, dunque, non andranno in paradiso.
Catilina |