«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VIII - n° 2 - 31 Luglio 1999

 

Forse qualcosa sta cambiando

 

 

 

Qualunque cosa si pensi delle liturgie elettorali, degli squallidi personaggi che assurgono al ruolo di improbabili protagonisti, delle facce di bronzo che campeggiano su una frase ad effetto nelle miriadi di manifesti che imbrattano muri e deturpano città, la lunga stagione elettorale iniziata con i referendum, transitata per il rinnovo della Presidenza della repubblica, quindi per il rinnovo del parlamento europeo, infine conclusa coi ballottaggi per Comuni e Province ha rimescolato le carte e riaperto molti giochi. A ben vedere, infatti, la politica, è di nuovo in movimento. Molti equilibri sono diventati improvvisamente precari. Leadership emergenti escono annichilite dal voto, altre inaspettatamente consacrate. Si ridiscutono alleanze e si ridisegnano in prospettiva i poli.

 Non si tratta ovviamente di gioirne dal momento che uomini e partiti sono nel nostro sistema perfettamente omogenei. E, tuttavia, l'instabilità è pur sempre da preferire alla stagnazione.

Val dunque la pena di focalizzare, in estrema sintesi, le conseguenze per certi versi clamorose della recente tornata elettorale.

1) Il successo personale e politico di Berlusconi che è riuscito contemporaneamente a rilanciare ruolo e prospettive personali, in Italia ed in Europa (dove, insieme alla CDU tedesca detiene la quota parlamentare di maggior peso nel PPE); a trasformare Forza Italia nel nuovo contenitore del moderatismo italiano occupando strategicamente e stabilmente l'area centrale dello scacchiere politico ed esercitando un'attrazione gravitazionale nei confronti dei partiti minori, cattolici e laici, in entrambi i poli, esattamente come la Democrazia cristiana nella lunga stagione del pentapartito.

2) La sonora lezione che lo stesso Berlusconi ha rifilato a Gianfranco Fini, dimostratosi per l'ennesima volta presuntuoso ed arrogante, al limite del narcisismo patologico. Il Presidente di AN è infatti riuscito, in appena due anni, a dilapidare un patrimonio di consensi, contemporaneamente enorme ed immeritato; ad appannare irrimediabilmente la sua immagine (circostanza allarmante per uno che troppe volte ha dimostrato di non possedere altro); a realizzare il vuoto culturale, politico e programmatico in un partito che aveva un suo retroterra solidissimo e che si vede ingloriosamente trasformato in «referendificio». Molti analisti prevedono che Fini non schioderà più le sue truppe, per la prima volta molto inquiete e forse pronte alla fronda, dalle attuali percentuali di consenso, valutate tra il 7 e l'8%: circa le stesse che faceva registrare nei periodi migliori il MSI-DN guidato da Giorgio Almirante. Dalle parti di via della Scrofa ci si confronta mestamente con la dura realtà, dopo ubriacature e sogni di gloria. Tutto ritorna indietro, ad un passato di emarginazione che si è voluto a tutti i costi esorcizzare. Dopo aver adibito il partito a «contenitore» dei moderati in cerca di casa nuova, durante la lunga notte di tangentopoli, sacrificando ed umiliando un patrimonio di valori, di idee, di memorie, di sofferenze, persino di sangue, le controfigure di AN rischiano adesso di tornare al nulla dal quale provengono. Auguri.

3) La pesante sconfitta del PDS e lo sgretolamento complessivo dell'intera sinistra uscita polverizzata in gruppi e gruppuscoli privi di qualsivoglia peso specifico. La capitolazione dopo mezzo secolo di Bologna, ma anche di Arezzo, costituiscono più di una battaglia perduta. Sono il segno dei tempi. Eventi simbolici che avranno pesanti ricadute e per i quali non basta davvero qualche epurazione. Una sinistra senz'anima che diventa destra, che sceglie di stare dalla parte dei privilegi e delle caste, che non ha nessuna capacità di innovare, di guardare alle sfide del nuovo millennio con l'animo fervido di chi ricerca soluzioni, di chi costruisce una nuova speranza; una sinistra, insomma, mercantile, liberal-laburista, soggiogata dalla tecnocrazia, prigioniera di quelli che una volta si chiamavano poteri forti, che cosa mai dovrebbe offrire alla «gente»? Se la sinistra fa la destra tanto vale scegliere l'originale. È successo a Bologna, rischia di accadere in tutta Italia.

4) La crisi della Lega che ha perso consensi ma, soprattutto mordente. Incerta oramai tra residue spinte secessioniste e tentazioni di inserimento nei giochi di potere e di palazzo di Roma ladrona. Bossi urla e striglia i suoi. Molti ne espelle. Si appella alla base sedicente rivoluzionaria. Ma l'impressione è che qualcosa si è rotto nel giocattolo padano. Forse irrimediabilmente. Non si può fare sfracelli quando lo «spirito» della rivoluzione riposa dentro le pancette opulente di piccoli e medi imprenditori che dopo aver cavalcato la tigre «popolana» ritornano ai più rassicuranti rifugi dell'antico moderatismo borghese, qualche volta ringhioso, ma pur sempre, ontologicamente, reazionario.

5) La crisi dei partiti tradizionali evidenziata dall'emergere del fenomeno Bonino-Pannella, e dal successo, in verità più atteso, dell'asinello (sia detto senza ironia alcuna) di Prodi e Di Pietro, a dimostrazione che qualcosa, appunto, si sta muovendo e che ci sarà forse spazio per progetti politici e modelli organizzativi che abbiano capacità di attrazione.

Certo, il rischio di berlusconizzazione della politica, ovvero della trasformazione di partiti ed uomini in azienda e management è grande. Tuttavia questo è non solo il quadro attuale ma, probabilmente, lo scenario prossimo venturo.

L'alternativa non può che partire dall'orgogliosa rivendicazione della capacità di tornare a fare analisi, di ridefinire confini ed identità, di cercare sintesi ardite, rimettendo in movimento intelligenze impigrite e deluse.

Il Polo antagonista? Movimenti localistici? Circoli culturali? Laboratori politici? Ci sono tanti amici che si stanno attrezzando ed altri che ci invitano ad uscire allo scoperto, dal momento che "Tabularasa", pur tra tante difficoltà, è diventato -soprattutto grazie al sito Internet- un punto di riferimento anche all'estero.

Ma non è la forma quella che conta. Al solito bisogna andare alla sostanza. Alle idee ed ai valori che fanno la differenza e che ci rendono liberi, autonomi e forti pur nella stagione di estrema decadenza e di appiattimento che siamo obbligati a vivere. Tante cose si potrebbero fare, dal momento che non c'è più bisogno di partiti e di sedi per veicolare idee, stimolare interessi e suscitare entusiasmo. Gli strumenti della tecnologia e dell'informatica, ultima strabiliante frontiera del potere dominante, possono diventare le armi della contestazione e dell'antagonismo se si impara a adoperarli. Occorre, però, che il progetto sia di forte impatto, che non rinunci ad affermare il diritto a progettare un'alternativa al capitalismo, al globalismo, al pensiero unico, all'egemonia culturale e politica americana. Non si può scopiazzare qua e là per dar vita o all'ennesima «intuizione» inutilmente riformista o all'ultimo accesso velleitariamente rivoluzionario. Bisogna analizzare a fondo i problemi che ci stanno davanti, la loro potenzialità esplosiva e destabilizzante, costruire per essi una «ricetta» che sia realmente in grado di risolverli, dire, una volta per tutte e chiaramente, quale modello di sviluppo si ha in mente, quale tipo di società si vuole costruire, come sarà possibile realizzarla. Tutto questo, ovviamente, presuppone approfondimento e studio. E non è detto che "Tabularasa" non possa diventare strumento di un tale, stimolante, impegno.

 

Beniamino Donnici

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