«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VIII - n° 2 - 31 Luglio 1999

 

le opinioni

 

Politica e giustizia

 

 

 

Non può esservi dubbio che sia approssimativo, semplicistico e perciò stesso gravemente scorretto tacciare la Politica di corruzione o la Magistratura di prepotenza solo perchè qualche politico riscuote delle tangenti o perchè qualche magistrato accarezza idee di potere, o marchiare il Parlamento d'incapacità e la Giustizia di inaffidabilità solo perchè qualche politicante fa del suo lavoro una carriera senza scrupoli e qualche garante della giustizia se ne serve a proprio uso e consumo o per trarne personale diretto vantaggio o per danneggiare qualcuno, non più e non meno di come sia scorretto parlare, così come ho letto su queste stesse colonne, di conflitto istituzionale fra Politica e Magistratura, solo perchè alcuni politici, molti, anzi troppi politici sono finiti sotto inchiesta e quel che è peggio riconosciuti colpevoli ad opera di vari, numerosi ma probabilmente non sufficienti magistrati. Si voglia sempre tener presente che la responsabilità penale è personale, strettamente connessa col reo e non col gruppo d'appartenenza, parlandosi solo di associazione a delinquere per colui che un gruppo costituisca allo scopo di commettere atti criminosi: non sarà il gruppo sotto processo, ma i suoi vari componenti. Mai pertanto coinvolgere l'Idea o l'Istituzione nel cattivo uso che qualcuno può farne. Chiarito però -senza possibilità di equivoci- questo punto, rimangono due fatti di fondamentale importanza: il primo, che la gente, o se preferite l'elettorato non ha più alcuna fiducia nè nella politica nè nella giustizia, che hanno perso completamente il diritto alla iniziale maiuscola (e questo potrebbe essere solo un fatto soggettivo e magari errato, se non se ne ravvisassero ben più che validissime ragioni), nè di pari passo nei propri rappresentanti in Parlamento nè in coloro che la giustizia dovrebbero amministrare e tutelare al meglio; il secondo, che questo fatto gravissimo trova la sua origine in fatti incontestabili ed inammissibili in una nazione sedicente civile e moderna, vale a dire la assoluta inaffidabilità delle alleanze e della collaborazione fra partiti grazie ai ribaltoni e ai salti di bandiera che sono penoso sconcertante spettacolo quotidiano, e ad una amministrazione della giustizia, che fa di sè stessa una spaventosa esibizione di inefficienza, da tutti apertamente riconosciuta. Non sarà male tentare della faccenda un esame che non sia condizionato da preconcette prese di posizione a pro di qualche movimento o partito.

Ben poco c'è da aggiungere a quel che i politici fanno dire di sè stessi, allorchè, pur di mantenere la poltrona, non esitano -conquistatala coi voti procurati loro dalla appartenenza ad un partito o ad una alleanza- a tradire poi l'elettorato passando all'altra sponda al solo fine di occupare un più illustre posto nella maggioranza al potere, invece che nella minoranza alla opposizione; fermo restando il diritto di chicchessia di mutare opinione e partito, un tale cambio di fronte sarebbe legittimo solo se attuato, previe dimissioni, mediante ulteriore elezione nel nuovo inquadramento. Il voto appare a questo punto perfettamente inutile, riprova ne sia il fatto che il più potente dei nostri partiti, e sono troppi, è quello di chi non va a votare aggiunto agli astenuti e alle schede bianche o annullate, e che ai referendum, che ben di rado vengono onorati da una attuazione pratica, se non in forma di occasionali mutamenti di etichetta, ma sostanziale mantenimento della intatta ed intangibile sostanza, la percentuale dei votanti rasenta quasi sempre il numero legale e la invalidazione. A gettare altra tenebra di dubbio e di sfiducia sull'istituzione bastano poi i politici immeritevoli e colpevoli dei più diversi reati.

Per la Magistratura il discorso è assai più lungo e complesso. Pare necessario anzitutto chiarire che la tanto strombazzata imparzialità del giudice viene costantemente travisata, intendendola come se a lui non fosse consentito avere parenti, affetti, amici, compagni di studi, di lavoro o di tempo libero, di partito, di sindacato o di associazione culturale, sportiva o di mutuo soccorso, nei riguardi dei quali si possa ipotizzare facilmente un occhio di particolare favore o riguardo; è chiaramente una panzana monumentale, può appartenere alla associazione che preferisce, avere amici del cuore o compagni per la partitina di bocce, essere di destra o appartenere ad un sindacato di sinistra, purchè eviti -se possibile- di propalare ai quattro venti le sue posizioni, in modo tale da non ingenerare sospetti, purchè mantenga poi -e questo è essenziale- nell'esercizio delle sue funzioni una obiettività ed una sollecitudine di equa decisione che tali sospetti dissipi sul nascere. Il guaio è che non sia proprio così che stanno le cose, che non lo si possa in coscienza affermare di tutti i magistrati ed i pochi, essendo quelli di cui si parla e si ascolta sui mass media, che di scoop vivono, gettano la peggior luce su tutta la Istituzione, generando sconcerto. A ciò si aggiungano altri lati, che si evidenziano appena s'abbia il tempo ed il coraggio di pensare. Si cominci dalle centinaia di migliaia di procedimenti civili in attesa di soluzione, per ciascuno dei quali i tempi per ottenere una sentenza, che dovrebbe essere il simbolo e la realizzazione della Giustizia, si misurano in termini di cinque-dieci anni, si continui con le migliaia di detenuti in attesa di processo e coi detenuti rimessi in libertà per decorrenza dei termini di carcerazione preventiva senza che si sappia se sono colpevoli indebitamente liberati o galantuomini indebitamente arrestati, si prosegua coi super-processi in trecentonovanta e rotte puntate modello telenovela sudamericana, che si trascinano penosamente avanti per venti o trent'anni, con reiterate superperizie su irriconoscibili «pezzi» marcescenti e rugginosi ed interrogatori di supertesti, che spuntano qua e là in tempi subentranti secondo i vari copioni, i quali ricordano, incredibilmente, dove si trovavano vent'anni prima alle 19,35 del 17 dicembre e cosa avevano mangiato quella sera a cena, quando un comune mortale non si ricorda a che ora è andato a letto o che film ha visto in TV due giorni prima, si concluda con i maxi-processi in aule bunker con tanto di giustizia-spettacolo ad uso dei patiti di gialli o di sensazioni forti, che inevitabilmente si risolvono dopo miliardi di spese in poderose collezioni di assoluzioni per i più diversi motivi, e si finisca con la banalissima considerazione che una grossa parte delle tasse, e non sono davvero poche, che il cittadino italiano versa all'erario servono per mantenere, direi quasi nel lusso, i delinquenti, gli aspiranti delinquenti, i loro guardiani e le strutture ricettive con annessi e connessi; attenzioni di pari prezzo il comune lavoratore, povero fesso, non vedrà mai mettere a propria disposizione dopo vent'anni di onorato mestiere, e di gabelle e contributi; ma quelli non hanno la libertà, mi sento già dire! E allora questa libertà fatela spalmare sul «pane che non hanno» a coloro che hanno fame!

E, tanto per finire in bellezza, la sottile distinzione fra i fautori del giustizialismo (pur di colpire il reo, posso anche colpire l'innocente, e sta al colpevole dimostrare che non lo è), ed i fautori del garantismo (uno è innocente, finchè non si dimostri la sua colpevolezza senza ombra di dubbio, «in dubio pro reo», norma di elevata civiltà solo a patto che la si sappia interpretare e correttamente applicare) stimola il mio riso più amaro; noi nelle parole siamo probabilmente il paese più garantista del mondo, ma siamo poi quello dove il coraggio di inventare la delazione tramite il «117», di inquisire, arrestare, detenere chi sia stato oggetto dell'accusa d'un pentito, sulla cui affidabilità ci sarebbe da discutere e non poco, o d'una donna che asserisca d'essere stata violentata o fatta oggetto di molestie sessuali, o d'un qualche malevolo furfante che faccia trapelare a tuo carico il sospetto di spaccio di droga, o di qualche megalomane esibizionista che asserisca d'aver visto quel che poi risulta non aver neppure sognato sotto l'effetto dell'alcool, di inviare senza tante cerimonie a chi si vuole l'avviso di garanzia, che sotto la falsa immagine d'una tutela del cittadino è di fatto nell'opinione pubblica una dimostrazione certa di colpevolezza, lo si diffama con ciò senza possibilità di salvezza, se ne distrugge la figura, la vita, la carriera o la famiglia, se ne fa un mostro per poi chiedergli dolcemente scusa per il disturbo arrecatogli quando qualche superperizia o qualche nuovo testimone spuntato dall'ombra, e che prima, chissà perchè, ha taciuto, appalesi il fatto che... il fatto non c'è.

Un paese, il nostro, dove le forze dell'ordine sono inviate a far da bersaglio ai professionisti del crimine, allo scopo di divenire oggetto d'illuminanti telegrammi di cordoglio delle Autorità costituite, perchè i loro uomini devono affrontare chi spara senza poter liberamente sparare, trasferiti quando va bene o spediti sotto processo il più delle volte, se osano colpire chi non ha scrupoli ad uccidere. Dove il cittadino onesto può essere sequestrato, rapinato, picchiato, rovinato senza la speranza di avere giustizia prima di dieci anni, se mai l'avrà, ma acquisirà un mare di diritti, quelli derivati dal garantismo, solo allorchè abbia la ventura, oserei dire la fortuna, di passare nella categoria dei delinquenti. Dove a furia di difese, cavilli, ricorsi, appelli, contestazioni, eccezioni procedurali, ricusazioni, processi di 1°, 2° o 3° grado, rinvii, aggiornamenti, supplementi di indagine e via di questo passo, la giustizia nei confronti dell'innocente che l'aspetta sarà tutt'al più una riabilitazione postuma, mentre il colpevole vive beatamente dei frutti della sua disonestà, divenendo perciò la più ingiusta delle giustizie possibili. Dove il grosso colpevole che si pente o si dà per pentito ottiene più vantaggi e remunerazioni per il suo passato criminoso rinnegato che il professionista per quarant'anni d'onesto lavoro riconosciuto. Dove il farabutto esce di galera e viaggia con la macchina di lusso, mentre l'innocente, che gira in bicicletta, se entra in carcere, non ne esce più, o quasi, perchè nella sua qualità di delinquente da poco, non potrà neppure aspirare ad una onorata carriera di rispettabile pentito. Dove per il malvivente al timore della pena si è sostituita la certezza dell'immunità. Dove di questo passo fra meno di dieci anni tornerà a dominare la legge del vecchio e onorato West, ed ognuno in mancanza di meglio la giustizia se la farà da sè, e senza prove d'appello, sparando per primo, e sfuggendo in tal modo al regime inquisitorio e poliziesco in cui tirano avanti i poveri diavoli, aggrediti senza scrupoli dalla giustizia se dimenticano di pagare il bollo della macchina o la tassa comunale di nuova invenzione o se non obbediscono all'ordine perentorio di testimoniare, esercitando un loro ben curioso diritto-dovere di perdere tempo in un processo per lo più inutile, prima del quale -o durante o subito dopo- il reo riconosciuto sarà tranquillamente a spasso a commettere altri reati, in attesa di farsi foraggiare un'altra volta ed un altro po' dal cittadino che lavora.

 

Renzo Lucchesi

Indice