«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VIII - n° 2 - 31 Luglio 1999

 

Serbia, la strage dei «settantottini» viene dal cielo
Giugno '40 - Aprile '45, Aprile '99: tutto come da copione

 

 

 

Giugno '40 - Aprile '45: l'Italia viene polverizzata dalla fortezze volanti inviate nei nostri cieli con un compito di distruzione totale e di omicidio di massa, a tacer d'altri, dal Signor Presidente degli Stati Uniti d'America e da Sua Maestà Britannica.

Aprile - Giugno 1999: la NATO, ossia, gli angloamericani più una serie di grandi e meno grandi satelliti dell'Imperatore d'Occidente, proietta sui cieli della Serbia i suoi immani strumenti di morte collettiva e di fisica, strutturale distruzione di un piccolo stato di circa dodici milioni di esseri umani.

Giugno '40 - Aprile '45. Gli italiani vengono investiti da una offensiva psicologica di eccezionali proporzioni. Tesi centrale della callida propaganda anglosassone: non ce l'hanno, i «liberatori», con il Bel Paese e con i suoi abitanti -verso i quali, anzi, nutrono uno sviscerato amore- ma con Mussolini, con il fascismo, con il totalitarismo littorio, con la dittatura che li ha asserviti a Hitler. Si liberino di tutti questi mostri e saranno felici e contenti. Di più: passino dalla parte degli «Alleati», così si troveranno automaticamente nel novero dei vincitori e saranno premiati.

Aprile - Giugno 1999: quelli della NATO fanno gli stessi discorsi melensi e farisei, scanditi dalle ondate di morte e di rovina che radono al suolo il loro Paese, ai cittadini serbi. Dicono: liquidate Milosevic e il suo regime tirannico e, nostri amici, sarete autonomi e felici. Noi vi massacriamo e vi riduciamo nelle condizioni in cui versavano uomini e donne dell'età della pietra solo perchè vi amiamo e vogliamo emanciparvi dai colpi in cui vi ha ridotto la dittatura. (Gli italiani che ragionano non con la testa degli anglosassoni e dei loro sicari culturali di casa e di cosa nostra -per fortuna sono tanti- si sono certo interrogati sul tipo di totalitarismo esistente a Belgrado, visto e considerato che Milosevic presiede un governo di coalizione dal quale e nel quale o Tizio, o Caio, o Sempronio esce ed entra liberamente a seconda dei suoi stati d'animo nei confronti del «tiranno». Un «tiranno», peraltro, regolarmente sortito da una competizione elettorale sì tormentata ma, tutto sommato, autentica. Un «tiranno» chiamato a vedersela con un'opposizione che non fa sconti e tuttavia restata sorda all'appello degli aggressori per una complicità antinazionale con i martirizzatori del suo popolo cui garantisce piena solidarietà. I serbi sono gente caratterizzata da inossidabile orgoglio, da irreversibile tensione oppugnativa, da eccezionale spirito nazionale, da inobliterabile attaccamento alla loro identità. È pertanto inimmaginabile l'attecchimento, fra di essi, della mala pianta dei Dino Grandi, dei Pietro Badoglio, dei propagandisti radiofonici agli stipendi del nemico).

Giugno '40 - Aprile '45. Gli italiani, esausti per i tracolli militari attribuiti soprattutto alla plurilustre gestione badogliana delle Forze Armate e ai notevoli errori politici del gruppo dirigente, cedono alle strumentali lusinghe dell'avversario bellico. Risultato: resa incondizionata; umiliante, beffardo ordine di invio a Malta della flotta con tanto di bandiera bianca; governo privato di ogni potere degno di questo nome; cosiddetto «Regno del Sud» dichiaratamente gestito da organismi costituiti dai vincitori; rifiuto di riconoscere alle truppe italiane il ruolo di alleato degli «Alleati» e loro riduzione al rango di «cobelligeranti»; potere di acquisto della lira falcidiato dall'inflazione e dalle monete di occupazione dei «liberatori»; perdita di tutte le colonie non nel quadro della complessiva decolonizzazione che si verificherà solo nella seconda metà del secolo, bensì quale punizione dei «reprobi» che avevano osato mettere in discussione il possesso e l'egemonia inglese nel Mediterraneo e in Africa; trattato di pace capestro imposto col più classico dei vae victis; Italia ridotta al rango di stato medio-piccolo sotto la tutela e con la leadership dapprima anglo-americana e, poi, statunitense sic et simpliciter.

Aprile - Giugno 1999. Più o meno la stessa cosa, ma non esattamente la stessa cosa, infatti Slobodan Milosevic -personaggio con cui, sia chiaro, nulla abbiamo a che spartire e, per di più, niente affatto di nostro gradimento- non è, checchè se ne dica, nè una testa calda nè un capitolardo. La prima di queste due caratteristiche gli ha consentito di utilizzare al momento opportuno due aut aut di grosso spessore: una Russia più che mai, ad onta delle difficoltà economiche, paese protettore degli slavi o «europeista» politicamente e culturalmente trasversale operante a livello mondiale. La seconda, gli ha consentito di stringere i denti -e soprattutto di farli stringere ai serbi, o, meglio, agli jugoslavi- di non alzare le braccia nè di chinare il capo di fronte alle intimazioni e intimidazioni ricattatorie di un pugno di altolocati e ultragettonati pirati planetari capeggiati da Clinton e dal suo partner londinese, l'ambiguo pseudosocialista e guerrafondaio Tony Blair. Costoro hanno sulla coscienza la violazione delle più elementari norme di diritto internazionale, a cominciare dallo scippo delle prerogative dell'ONU per quel che concerne i compiti di restaurazione o di difesa della legalità nei rapporti interstatali nelle zone del pianeta dove è violata o minacciata. Il governo italiano ha due macchie da lavare con la massima urgenza: la violazione dell'articolo undici della Costituzione che statuisce il divieto di uso della forza per la soluzione di vertenze con altri Paesi o fra di essi; la messa in non cale di evitare azioni belliche contro una nazione senza regolare e motivata dichiarazione di guerra con relativo ritiro dei rispettivi ambasciatori. La rete di basi aeree per la pioggia di morte e di distruzione posta in essere anche dall'aeronautica italiana al fine della pratica cancellazione della Serbia come entità civile, culturale, produttiva, militare ci ha coinvolti, compromessi, danneggiati in misura forse irreparabile. Fra i popoli della vecchia Jugoslavia l'unico che non abbia mai teorizzato e praticato l'odio contro l'Italia e tutto ciò che è italiano è proprio quello serbo, diversamente dai croati e dagli sloveni. Con le varie Aviano abbiamo perso, forse per secoli -gli slavi hanno la memoria lunga- gli unici amici su cui potevamo contare nella Balcania. E questo mentre gli albanesi -nonostante quanto da noi fatto per loro con la «Operazione Arcobaleno» e tante altre iniziative a cominciare da quelle di accoglienza- si accingono a scaricarci per mettersi sotto l'ala protettiva degli USA, avendo ben individuato chi veramente impugna lo scettro nella sedicente «comunità internazionale». Di codesto cinico realismo skipetaro ci ha resi edotti "il Corriere della Sera" con una intervista rilasciata a un suo inviato dal capo del governo di Tirana.

I più solerti apostoli del Verbo natense-statunitense si affannano e si sbracciano per significarci che agli americani compete -chissà mai in virtù di quale grazia divina- un ruolo primario, di comando, di guida delle varie nazioni nelle vicende di polizia democratica, umanitaria, «giudiziaria» più o meno in tutto il pianeta. Ciò perchè l'America sarebbe il simbolo potente, permanente, inossidabile dei più Alti Valori dell'Uomo e delle genti, come, secondo questi valentuomini, avrebbe del tutto disinteressatamente dimostrato durante la prima e la seconda guerra mondiale, nel corso della guerra fredda con l'URSS. E come ancora dimostrerebbe e sempre dimostrerà. Noi, a dire il vero, questa patacca dell'idealistico disinteresse connotante il maxi-interventismo bellico statunitense erga omnes da un bel pezzo l'abbiamo rispedita al mittente, ossia a quello che si è usi definire il «partito americano» dei Cossiga, degli Scognamiglio, dei La Malfa, dei Berlusconi, dei Fini, della sedicente sinistra «laica e occidentale» etc. etc. Peraltro, nutriamo seri dubbi sulla genuinità della democrazia USA. Su tale questione si potrebbe riempire un libro di cinquecento pagine, pertanto l'abborderemo a volo d'uccello con qualche non sospetta testimonianza a cominciare da quella, recentissima, consegnata al "Corsera" dall'on. Franco Marini, segretario del Partito Popolare Italiano.

Ecco: «Negli Stati Uniti le primarie sono fonte di imbrogli, di pasticci, e talvolta di cose peggiori per la democrazia...» Dove le virgolette sono lì a significare una cortese e altruistica prudenza posta in essere da Francesco Verderami, suo intervistatore, onde evitare che la sua onesta sincerità finisse per creargli imbarazzi dentro e fuori il suo partito. Proseguiamo. Proiettandoci, però, su argomenti diversi ancorchè connessi. Renzo Cianfanelli, inviato speciale a Belgrado del quotidiano di Via Solferino: «I serbi si sono battuti con onore in una guerra rovinosa quanto inutile». Orbene, come non ammirare un popolo di circa dodici milioni di anime... animosissime che «si batte con onore» contro una coalizione di stati capitanati dalla massima superpotenza planetaria. Essi, tutti insieme, fanno all'incirca oltre mezzo miliardo di uomini aggregati all'insegna delle illimitata ricchezza, della straripante capacità d'urto militare, della stupefacente perfezione tecnica. Vogliamo fare una confessione pubblica. Siamo sempre stati orgogliosissimi di essere italiani e sempre lo saremo, fino e oltre la morte. Ma proprio per questo proviamo immensa, profonda vergogna per il fatto che il nostro Paese sia stato associato a una impresa banditesca violatrice delle regole fondamentali della morale pubblica e della legalità internazionale. Naturalmente la nostra cifra etica e il senso di responsabilità nazionale ci hanno impedito di dare corda a qualche sconsiderato -non mancano mai- propugnatore di un appello per la diserzione rivolto alle FFAA. impegnate in una guerra dalle caratteristiche seccamente stragiste portata avanti per settantotto giorni da coloro che, giustappunto, possiamo definire «Settantottini».

Sappiamo bene cosa hanno da obiettarci costoro: le pulizie etniche di Milosevic, le fosse comuni, le uccisioni di massa e le torture perpetrate dalle milizie serbe del «nazional-comunista» Slobodan e dalla sua consorte Mira Markovic, addirittura ritenuta l'ideologa del regime. Figurarsi se possiamo avere qualcosa da spartire con queste cose e con la Coppia di Belgrado! Ma non accettiamo di farne alibi per l'egemonismo planetario americano i cui personaggi e interpreti -more solito- dicono di volere agire in chiave castrense onde punire un criminale politico per poi fare esattamente il contrario: il «criminale politico» resta tranquillamente al suo posto per godersi vita e potere mentre il suo Paese viene messo a ferro e fuoco. Saddam Hussein docet. Va da sè che non c'è consentito sviscerare in un solo articolo tutti i vari aspetti della «questione Serbia». Ci proponiamo pertanto, direttore permettendo, di ritornare sull'argomento nel prossimo numero della rivista per proseguire nell'analisi, anche per non consentire ai «Settantottini» di fare il bello e il cattivo tempo sui media -soprattutto quelli dell'Impero di Arcore- senza patire adeguate, sferzanti, meritatissime repliche.

 

Marsilio Nardi

Indice