«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VIII - n° 2 - 31 Luglio 1999

 

Il totalitarismo della globalizzazione

 

 

 

Non c'è che da accogliere con favore ed interesse il dibattito che, a più voci, il sito Internet di "Tabularasa" sta in queste settimane ospitando, raccogliendo istanze ed opinioni che compaiono su altre testate di ispirazione nazionalpopolare. Il tema -per chi non ne seguisse via modem le fasi- è rappresentato dalle possibilità di «unificazione» delle energie politiche che allo stato attuale sono fuori dal Polo delle Libertà ed in particolare da Alleanza Nazionale.

Tra le pieghe della discussione si è inserita l'importante scadenza sulle consultazioni europee ed amministrative del cui risultato si può parlare subito.

Significativi appaiono un certo ridimensionamento dell'onda lunga che aveva pervaso Alleanza Nazionale e la conferma di una base elettorale che pare attestare il proprio sostegno al Movimento Sociale-Fiamma Tricolore.

AN, nelle sequenze immediatamente successive alla fondazione e sino ad oggi (l'ultima l'intesa elettorale siglata con Mario Segni, freddamente accolta dagli elettori) ha perseguito una strategia di accreditamento in direzione dell'area moderata posta al centro dello schieramento politico, senza naturalmente essere la sola a farlo. Concretamente, il centrodestra sta dunque raggiungendo un suo consolidamento anche sociologico nei termini dello schema bipolare, ovvero una ricerca di contiguità rispetto ai pubblici poteri e al mondo dell'imprenditoria e delle professioni, connotandosi così sotto il profilo della comunicazione politica. Naturalmente finora c'è chi ha sostenuto con convinzione che al Polo delle Libertà, ed al partito di Fini, manchi un approccio sistematico rispetto al bisogno di orientare le scelte di fondo. A parte il fatto contingente che Forza Italia ha or ora realizzato un buon indice di consensi, con effetto trainante per AN e CCI, va tenuto conto che c'è un'egemonica porzione della pubblica opinione che è figlia della smitizzazione della politica di cui le grandi forze moderate stanno facendosi interpreti, dandosi fisionomie più elastiche e neotrasformistiche, sposando la logica del partito-contenitore. Tra l'altro, bisogna ricordare che questa tendenza di fondo non si attaglia al solo nostro Paese, ma all'intero comparto delle democrazie occidentali. Su un versante diverso, la «Lista Bonino» rappresenta -coi voti ricevuti- una lampante riprova del fenomeno, seppur in chiave «movimentistica» e trasversale.

Stavolta la mobilità elettorale è emersa dalla palude delle timidezze sociali. Far soccombere il Polo delle Libertà sotto un mare di critiche -siano o meno fondate- non toglie nulla al fatto che gli elettori di città da sempre amministrate dalla sinistra -si veda il «caso» per eccellenza, Bologna- con tutti gli annessi e connessi del nuovo modo di governare, abbiano deciso di voltare pagina. Ognuno decida se sia il caso di valutare con impassibile e disincantata distanza eventi come questi, che rappresentano veri e propri terremoti psicologici e, naturalmente, istituzionali.

È una «mobilità» illusoria, recintata, ristretta da una diga? Chi ne sta fuori è pienamente libero, svincolato dai passaggi obbligati, redento da ogni etichetta, definitivamente e felicemente privo di tutori?

Cerchiamo per un attimo di parlare di storia, seppur in pillole. Il partito di Fini ha sancito -com'era ovvio- la caduta di una fitta coltre di nubi su tutti quei riferimenti originari che nel 1946 costituirono una delle basi di partenza del MSI. Non va dimenticato che già nella costituzione di quel partito coesistevano anime diverse, che sarebbe utile rievocare e studiare. Magari collegandoci ad una storia umana e politica non stereotipata e che non si riduceva difatti in una competizione tra «duri» e «colombe» -così grossolanamente tratteggiata dalla manualistica antifascista- ma di una coabitazione complessa tra visioni ideologiche che tesero a confliggere e a ricomporsi nelle varie fasi politico-istituzionali del dopoguerra: un po' in base alle scelte ed alle trasformazioni del concorrente democristiano, un po' sulla scorta di iniziative interne ostracistiche o scissionistiche, un po' secondo il grado di penetrazione carismatica che certe figure rappresentarono tra gli elettori ed i militanti (basti pensare al ritorno di Almirante alla segretaria del MSI nel 1969).

Nei vent'anni successivi a quella data -quelli durante i quali il corollario principale fu l'alternativa al sistema- questa pluralità di voci riuscì a mantenere una compattezza di fondo -chissà se ragionata od istintiva- sino a quando è decisamente entrata in crisi. A quel punto si è dispiegata una proposizione di tipo gollistico, plebiscitario, che si è riappropriato del suo essere e sentirsi «destra».

Oltre le considerazioni ora avanzate sul MSI-DN necessiterebbero un richiamo anche quelle realtà pubblicistiche, attivistiche e parapolitiche che hanno costruito un punto di coagulo per tante forze rimaste fuori dal MSFT: quel mondo extraparlamentare, nel quale idealismo e legami equivoci hanno sempre trovato posto. Quel mondo -sempre guardato con pervicace e a volte non infondata diffidenza- ha fatto parte anch'esso, di una certa storia, collezionando periodi di afflusso militante e di sconfinamenti nel vuoto.

È necessario guardarsi indietro senza smemoratezze, per capire come mai questo mondo ha attraversato fasi alterne che si decifrano con difficoltà. È passata tanta acqua sotto i ponti ed è difficile individuare un solco comune entro il quale poter confluire lasciando alle spalle le distinte esperienze.

Allo stato dei fatti dubitiamo che ci sia la capacità comune di costruire e realizzare con efficacia un solido processo di aggregazione metapolitico e politico che realizzi l'occupazione di uno spazio. Chi sta fuori dalla fluttuazione moderata deve porsi il problema di incarnare un qualcosa, «quel» qualcosa che nasce dalla sua storia e che deve sorreggersi non sulla polemica a ruota libera, ma sui risultati reali.

Questa deve essere la base sulla quale confrontarsi; in questo senso potrebbe, per chi non ammette preminenza al grezzo bipolarismo, essere il possibile suggello organizzativo e metodologico alle tante forze sparse. Che non hanno bisogno di profezie catacombali.

Ma vediamo gli ostacoli disseminati lungo il cammino.

Per prima cosa c'è una continua tendenza, messianica ed addirittura genetica, di cercare altitudini inaccessibili, privilegiando una solitudine assoluta. Questo si traduce in uno sforzo teso a non farsi capire, a reggere l'intero discorso su basi paradossali e stravaganti, ispirandosi a parole d'ordine e a letture oscure e strane.

Qui va osservato che se il desiderio di esplorazione che il mondo contemporaneo non ritiene «normale» è indice di apertura intellettuale, va pure rilevato che -alla fine- si fa concreto ed attuale il rischio di squilibrare la propria presenza, proiettandola verso una sorta di nomadismo ideologico e di incapacità a rendersi interpreti di una qualsivoglia istanza pubblica.

Questo radicalismo eccentrico si pone fuori da una ragionevole percezione delle cose, e denota, altresì, un avvitamento su sè stessi. Un pensiero inerme, minaccioso, che guarda in cagnesco la realtà, come tale, non può farsi riconoscere politicamente nella veste di soggetto referente. C'è un altro equivoco che dispiega effetti nefasti. È stato sparso a piene mani il postulato che il piccolo gruppo sia più «puro» e più «autentico». Così facendo sono stati costruiti e poi dissolti movimenti e movimentini dalla vita brevissima. È prevalsa una miseria organizzativa corrosiva e vuota, dove le buone intenzioni si sono frantumate contro gli scogli del disimpegno, dei colpi di testa, dell'anarchismo, delle fughe senza un perchè. Si è saliti e scesi lungo una scala senza inizio nè fine.

Lo stesso pregiudiziale rifiuto delle competizioni elettorali -animato da considerazioni condivisibili e sorretto da nobili bandiere- ha prestato il fianco a tendenze affabulatorie e a peregrinazioni verso posizioni immobilistiche.

Il 13 giugno la Fiamma Tricolore ha conseguito un riconoscimento: non tanto nel «mare magnum» delle varie liste -nel quale ha comunque sovrastato altre più accreditate formazioni- quanto rispetto ad altre ambiziose realtà d'area, che non erano presenti. Il MS-FT dovrà immunizzarsi dagli esclusivismi o dalle ebbrezze ludiche, ma non si capisce perchè solo quell'ambiente dovrebbe di continuo cospargersi il capo di cenere. Forse -a fortiori- sarebbe in parallelo utile e moralmente opportuno che qualcuno facesse un passo indietro. Chi ha trovato più attraenti gli esotismi e le critiche a ciò che nel bene e nel male è stato costruito, chi ha preferito attestarsi nel limbo -quasi che Rauti meritasse la massima ostilità in quanto nemico pubblico numero uno- potrebbe avviare anche una valutazione meno rigida. Degli uomini e delle scelte di un elettorato non virtuale. Chi ha manifestato il proprio consenso nell'urna ha saputo cosa votava e perchè. È stato così che il Movimento Sociale qualche numero lo ha raggiunto. Gli altri no: ma se qualcosa sono in grado di realizzare niente vieta loro di mettersi all'opera con sobri propositi ed alieni da petulanti imposture.

D'altra parte la politica è fatta con gli uomini, e non solo con i libri o con le serafiche aspirazioni.

Ma qui possiamo anche fermarci. Gli argomenti che abbiamo posto all'attenzione ci possono far proseguire vivacemente il confronto.

 

Cesare Pettinato

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