«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VIII - n° 3 - 30 Settembre 1999

 

Decadenza dell'assimilazione

 

 

«O italiani grassi che usate abbracciarvi l'un l'altro, e prendere tutto in facile, (...) e avete la bocca piena di libertà mal masticata, e pensate tutti a un modo, sempre, e non v'accorgete d'esser pecore tosate. O italiani che non amate la verità, e ne avete paura»

Curzio Malaparte, "Maledetti toscani"

 

 

Una cosa è avere pietà dei diseredati, altro è farne i padroni della comunità. Oggi, tutto ciò che è in basso, per un malinteso sentimento di commiserazione viene posto sull'altare, e accusando la società di oppressione, si giustificano tutte le depravazioni individuali. Diventa moda, quindi, il redimere ogni giorno il genere umano. Qualche filantropo che non si scuote neppure dinanzi alla più formidabile delinquenza collettiva, lo si trova sempre. In fondo, egli pensa, la mia presenza dimostra che l'uomo è naturalmente buono. Ma noi non siamo filantropi. Siamo antidemocratici e in buona misura anche antiumanitari verso gli «eroi» del nostro tempo, che sono i ladri, i vagabondi, le prostitute; gli albanesi, i marocchini, i kossovari, gli scippatori, i questuanti. Quelli, insomma, che rendono invivibili le nostre città.

Il permettere, a chi vive ai margini della convivenza sociale di compiere ogni e qualsiasi gesto contro le nostre tradizioni (anche se dimenticate e tradite), di spregiarle e offenderle, dà la misura dello smarrimento di un popolo. La tolleranza diventa sottomissione, soggezione a individui per i quali l'essere umano è merce da barattare sui marciapiedi.

C'è da rimpiangere la Mafia (con la «M» maiuscola - e anche la 'ndrangheta), quella che un tempo, in assenza dello Stato, provvedeva alle indispensabili necessità degli indifesi; quella che, nei contadi da essa amministrati, senza bisogno di ostentare uniformi e apparati mastodontici, induceva i cittadini all'ordinato comportamento, al rispetto del prossimo.

Paradosso rimpiangere la Mafia? Può essere. Ma sono certo che non parrà incoerenza ripensare il fascismo, almeno quello degli «anni del consenso» - tanto per accontentare qualcuno che il fascismo in toto non accetta. C'è un inderogabile bisogno di realizzare una assurdità -qualunque essa sia- per sconvolgere nuovamente la società, renderla vivace, attenta, passionale, fantasiosa. Una logicità, invece (e questa è realizzabile da subito) potrebbe anche essere quella di dare vita ad una minoranza di «cospiratori» che intendano agire per abbattere questo sistema. Con qualsiasi mezzo. È tempo di smetterla con le rinunce, con le umiliazioni. Storicamente -e perché no?-, anche politicamente, siamo un popolo insopprimibile nella vita dell'Europa. Non possiamo accettare di divenirne la discarica in nome del libero mercato, della democrazia, della tolleranza. E non già per le nostre antichissime glorie, che ci pesano più che ci aiutino, ma per la funzione a cui saremo chiamati quando l'Europa, ritrovando le proprie radici, diverrà nuovamente potenza.

E vero che l'Italia non è più terreno propizio alla rifioritura di idealismi a causa delle vicende storiche, passivamente subite, e che hanno reso scettico il nostro popolo; come -è altrettanto vero- abbiano questi anni, questi tempi, il sapore di rovina, di vigliaccheria, di disperazione. Inducendo tutti noi ad accettare -psicologicamente inclini- il compromesso come espediente pratico, seppur spoglio di ogni valore ideale. Ovvero, la classica «combinazione» italiana. Ma l'antichità di cui siamo permeati, che intride ogni nostra parola, ogni nostro gesto, non ci consente esperienze nuove, così come adattamenti o compromissioni. Solo essa ci può salvare. E se la politica ci ha reso schiavi, la natura ci rende liberi.

Le speranze in un altro domani non sono da rigettare. Noi, per primi, che abbiamo la pretesa di voler predicare, dovremmo imporci la volontà di spogliarci della bramosia di capeggiare. Sappiamo che ogni azione dell'uomo moderno è sempre dettata dall'ambizione personale; sappiamo quanto sia difficile riuscire ad estraniarsi dal sistema. Infatti, la fermezza, la rigidità teorica, spaventano sempre e i più finiscono per raccogliersi sotto le insegne dei potenti di turno. Che vivono di trasformismo.

Se andiamo ad osservare bene, ci accorgiamo che esso «trasformismo» non fa che amalgamare elementi omogenei. Gli ex rivoluzionari di destra e di sinistra, divenuti misoneisti, riescono ad inoculare, nella vita italiana, quel senso di grigio di opprimente di mediocre che trasuda anche dalle colonne della stampa.

Che fine: dalle passioni rivoluzionarie, all'accettazione della livrea. I nati servi divenuti, più che liberi, liberti. Tanto da trasformare la «rivoluzione» in una fruttuosa azienda per gli arrivisti, elevando la transazione a sistema.

La sinistra, poi, riesce a rendere ancor più visibili i difetti di cui abbonda la destra. E l'una e l'altra -la destra e la sinistra-, in feroce concorrenza, si contendono gli stessi dominatori, la stessa clientela: la mandria degli speculatori che ingrassa sulla cuccagna delle privatizzazioni lucrando a spese dei contribuenti. Quella marea di bischeri che osserva, con ossequioso rispetto, l'undicesimo comandamento: paga, taci e vota.

Vien voglia di scrivere, anzi, di ripetere -ma non si può-: «Torna Mussolini, torna»... ma con il «santo manganello».

 

a.c.

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