«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VIII - n° 3 - 30 Settembre 1999

 

La nipotissima non convince né punto né poco
La Mussolini contro Mussolini

 

 

 

In un godibilissimo editoriale scritto per "il Corriere della Sera" nell'ormai remoto giugno di quest'anno -dedicato alle vicende interne ed estere del partito neo-badogliano del Superpentito Gianfranco Fininvest dopo le profligate elettorali con e senza l'Elefante-, Francesco Merlo si lascia andare, tra il serio e il faceto, ad una affermazione che facciamo nostra toto corde. Così si esprime, dunque, il brillante articolista sul conto della Nipotissima: «La Mussolini ha fatto più danno a suo nonno dell'intera Resistenza e di tutte le abiure antifasciste, trasformando la più grande tragedia italiana in una gaia commedia familiare».

Perfetto. Tuttavia la bella Alessandra meriterebbe qualche commento in più, per ciò che attiene alla sua sciagurata esperienza politica nel quinquennio che l'ha vista presente-assente a Montecitorio dopo aver perso il braccio di ferro con Bassolino per la sindacatura partenopea. E siccome nessuno, per questo o quel motivo, si decide a commentare, commentiamo noi. Rilevando, anzitutto, che questa Signora in realtà non è stata eletta da nessuno e quindi si è ed è stata introdotta di contrabbando nell'aula parlamentare. Asseverazione, questa nostra, di certo paradossale, iperbolica, metaforica; epperò, a ben considerare, niente affatto campata in aria al cento per cento. Gli è che la porzione di elettorato partenopeo che, fra il lusco e il brusco, decise di spedire l'avvenente nipote di Sofia Loren nei quartieri alti (si fa per dire) della politica partitocratica-montecitoriale non lo fece per premiare inesistenti meriti o titoli politici di una sconosciuta, bensì per lanciare il suo guanto di sfida all'antifascismo che a sessant'anni circa dalla caduta del fascismo con relativi ricambi generazionali, si ritiene in diritto e in dovere di comandare a bacchetta e di fare il bello e il cattivo tempo. Insomma: il vero candidato votato a Napoli illo tempore fu Benito e non Alessandra Mussolini, la quale pertanto, per dirla proprio come la si dice all'ombra del Vesuvio, «dovrebbe tenere due piedi in una scarpa»; nel senso, intendiamo, di rendersi realisticamente conto delle sue dimensioni, di essere consapevole del ruolo di strumento della Storia dalla medesima assegnatole e di appalesarsene concretamente, fattualmente, quotidianamente, adeguatamente degna.

Il guaio è che l'on. Mussolini esprime comportamenti assolutamente non degni, politicamente parlando, va da sé. Una persona di retto e corretto sentire come dovrebbe chiosare, secondo lei, queste righe, che espungiamo da una cronaca redatta da Felice Saulino sempre "il Corsera" e sempre relativa alla tragicomica assemblea di giugno del partito neo-badogliano: «A votare contro, insieme a Buontempo, resta solo Alessandra Mussolini. Lei avrebbe voluto che Fini chiedesse scusa a Berlusconi. Impossibile. Si va a casa. Il presidente di AN guadagna l'uscita attorniato dai cronisti, giusto il tempo per un'ultima stoccata al "carrierificio", alla classe dirigente che ha pensato soprattutto a fare carriera "all'ombra del capo "».

Una ria sorte vuole che tocchi a noi, sperabilmente semel in vita, difendere l'ex fascista puro e duro -pupillo e seguace del leader del fascismo intransigente, Giorgio Almirante- colpito dall'indecoroso atteggiamento politico di una Signora Nessuno che deve la sua posizione parlamentare prima ancora che al nome che porta al «carrierificio» finiano. L'autorevole duceaddio sicuramente avrà incontrato serie difficoltà, anzitutto in sé stesso, nel varare una candidatura così compromettente (e tanto poco promettente) proprio all'avvio del suo processo di defascistizzazione e di demussolinizzazione del partito; proprio mentre si accingeva a trasferirsi con armi e bagagli nella zona conservatrice e reazionaria dell'antifascismo. Cosa vuole che gli diciamo, noi che lo abbiamo sempre combattuto e sempre lo combatteremo, mica per un fatto personale, ma perché abbiamo avuto e sempre avremo in uggia e in dispetto fregoli e girella, rinnegati e voltagabbana, di qualsivoglia colore e sapore, specie se arroganti crudeli e presuntuosi?

Gli ricorderemo solo il seguente antico adagio popolare: chi è causa del suo mal pianga sé stesso. Un male tanto più per lui preoccupante in quanto dal «carrierificio» non è scaturito solo la dolce Alessandra, ma pure il grosso dell'establishment di partito, che, legato al Creso di Arcore per vari e non troppo misteriosi fili, gli ha detto chiaramente nel meeting dell'Albergo Plaza in Roma che se si mette contro Berlusconi molla lui e il suo gruppuscolo di veri o presunti «fedelissimi», ossia gli Urso, gli Storace, i Fiori, gli Alemanno, i Matteoli, i Rebecchini e qualche altro fra i più recentemente beneficati.

 

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Ecco: il meno che si possa dire della Signora Mussolini è che nella richiamata vicenda la sua attitudine nei confronti del Number One del partito neo-badogliano è stato poco elegante.

Ma non è questa la sola e prima caduta di stile nel modo di fare politica della figlia di Romano Mussolini -e il buon papà bene farebbe a ricordarle quali comportamenti risulterebbero congrui al nome che porta-, fin troppo essendo le occasioni avute per dimostrare di che qualità è il sangue che le corre nelle vene e incautamente non colte. Qualcuno ha perversamente preteso di fare presente che il suo sangue non è solo mussoliniano ma pure... scicoloniano. E, altrettanto malvagiamente, ha concluso con questo brocardo latino: Rustica progenie sempre villana fuit. Noi, ovviamente, ci guardiamo bene dal seguire costui, o costoro, su di un terreno così superficiale, volgare, ingeneroso e, tutto considerato, frutto solo di pregiudizio e cioè insussistente. Preferiamo limitarci e limitare il j'accuse all'onorevole Alessandra Mussolini a un altro episodio, che non valse sicuramente a illustrare doti di equilibrio, sensibilità, fiuto dell'opportunità, serietà politica (quella privata è assolutamente fuori discussione) eventualmente accampate nella sua personalità.

Il riferimento è alla minaccia di allocuzione nel partito lillipuziano di Rauti allorché per l'ennesima volta ebbe a trovarsi in rotta di collisione con Gianfranco Fininvest -ci pare di ricordare, ma siamo pronti ad accettare eventuali correzioni- sulla questione del suo accesso nell'esecutivo nazionale o in altro organismo importante di AN. La Signora Alessandra si spinse fino al punto di presenziare al congresso nazionale della Fiamma Tricolore anche guadagnando la tribuna, se la memoria non ci inganna, per prendervi la parola fra le acclamazioni dei delegati. Si parlò di un suo ingresso nella segreteria nazionale dei «fiammisti» e in tal senso si affermò che si era espresso Rauti. Ma poi, quando i giochi sembravano ormai fatti e la leggiadra nipotina del Fondatore dell'Impero appariva sul punto di pronunciare il «fatale sì», ecco il tutto sfasciarsi. Come mai? Semplice; la sedicente flamina del fondamentalismo mussoliniano era stata in qualche modo e in certa misura soddisfatta nei suoi appetiti gerarchici tramite una accettabile scatto verso più confacenti ed eziandio confortevoli livelli organigrammatici.

E così Pino Rauti e i suoi veri o presunti nazional-popolari restarono con un palmo di naso. Talché un loro esponente del profondo Sud si sentì autorizzato ad esclamare «Chi disse donna disse danno». Ah, questi inveterati, recidivi maschilisti!

 

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Cara e Gentile Signora Alessandra, se davvero fosse stata preda della brama di votare contro Gianfranco Fininvest -un autentico Lajolo della destra, cioè- quanti storici e irripetibili momenti avrebbe avuto a sua disposizione la nipote di Benito Mussolini! Anzitutto quello di Fiuggi, allorché una banda di rinnegati della peggiore specie gettò in una fogna una identità storica dalle pronunciatissime caratteristiche sociali, nazionali e popolari, che era stata loro consegnata -idealmente, spiritualmente- da migliaia e migliaia di morti in combattimento, o assassinati, o «giustiziati», per essere adeguatamente tutelata, sviluppata, messa a frutto a pro di tutta la Nazione, di ambedue i versanti italiani operanti sulla Linea Gotica ed entro la Linea Gotica, nel duro clima della guerra civile. E invece Fini e i suoi accoliti e sodali lungi dal curarli quei valori, quel retaggio, quella identità, non soltanto li rinnegarono ma li condannarono con parole perfino più roventi, graffianti, aggressive degli avversari e nemici di quella eredità, ma accettarono che ossari, fosse comuni, sepolcri dove giacevano quelli dell'«altra Italia» fossero considerate e trattate come tombe di Serie C.

La Fiuggi del gennaio '95 fu l'apoteosi di codesta ignominia.

Ella, Onorevole Alessandra, c'era a Fiuggi, alla fondazione del Partito dei Fiuggiaschi? Come votò? Con chi si schierò? Salì il pergamo congressuale? Se sì, come si espresse? Contestò o no quel Gianfranco Fini che pronunciava la relazione con­gressuale nello spirito di radio Londra '40-'45, gettava via il bambino insieme all'acqua sporca, abiurava platealmente e solo utilitaristicamente alla sua fede, banalizzava la Repubblica Sociale Italiana, si esibiva nelle ovvietà di moda sul Ventennio, sputtanava il Principale e, come si dice a Roma, lo «scaricava» con la scusa barbina di «affidarlo al giudizio della Storia» dopo averlo lui giudicato in una chiave la più negativa possibile? Le saremmo davvero grati se ci degnasse di una risposta con quel tanto di sincerità di cui ritiene poter essere capace.

Tutta melodia per le orecchie dei disoccupatissimi professionisti di un certo tipo di antifascismo, questa musica finiana. Soprattutto, staremmo per dire, e diciamo, per quelle dei piramidali imbecilli di una certa sinistra con la pressione bassa: tutti beati e contenti per avere «allargato l'area della democrazia» con una cosiddetta «destra pulita», il cui raggiuntissimo scopo era di metterli bellamente nel sacco dopo aver fatto comunella con Forza Silvio e relativo impero mediatico-finanziario-calcistico del Paperone di Ancore. Essendo sempre stati sfegatati fegatosi piuttosto che uomini di fegato tranne qualche autentica eccezione, rispettabilissima - se lo erano venuti a curare, il fegato appunto, non solo con le acque termali di Fiuggi ma con l'antifascismo terminale dei Fiuggiaschi neo-badogliani, genuino o costruito che fosse.

E per le orecchie della onorevole dottoressa in medicina? Anch'essa coglieva sulle labbra del Fini-Fininvest che andava a Canossa, che si cospargeva il capo di cenere, che veniva folgorato dalla verità antifascista sulla via di Damasco, che faceva finta di credere che solo in virtù dell'azione antifascista l'Italia era in grado di fruire di un regime parlamentare pluripartitico -quasi che per ciò non fosse bastata la vittoria militare degli Alleati, come in Germania e in Giappone- le più pastose fra le melodie, quelle celebranti le celeberrime delizie di Montecitorio, del potere, del benessere economico, del Palazzo, dell'autorevolezza? Confessiamo di ritenere che queste furono, ora è suppergiù un lustro, le note musicali che più attrassero l'orecchio e suscitarono i desideri di Madame Alexandre. Del resto, le sviolinate di Fini all'antifascismo non potevano che appalesarsi irresistibili per chi sentiva l'imbarazzo, la frustrazione, il dolore di stazionare in fittissima ombra pur potendo vantare congiunti dalla eccezionale, inarrivabile, unica caratura storica (Benito) o artistica (Sofia e, forse, Romano) Signori, occorre comprensione. L'anima è debole come, e magari più, della carne. Comprensione, certo, ma non al di là di un ragionevole limite. Abbondantemente però tracimato, pare a noi, dal personaggio sul quale veniamo intrattenendo il Lettore. Gli è che la Mussolini dopo avere utilizzato Mussolini in lungo e in largo, a dritta e a rovescio, da cima a fondo, da un bel pezzo lo ha disinvoltamente buttato a mare. Addirittura cinicamente, diremmo, e fin dal Congresso Fiuggiasco, come sembrerebbe; e va da sé, saremmo ben lieti di essere probatoriamente smentiti.

 

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Il rinnegamento della Nipotissima, ovviamente, non è conclamato. Certe apostasie che non si scrivono né sui manifesti né sulla carta bollata: sono nei fatti, nelle cose, nei comportamenti. Ne indichiamo una, la massima, appartenente, si capisce, all'oggi; quella di ieri essendo individuabile nell'assise di fondazione di Alleanza Nazionale; e quella dell'altro ieri certificatile nella pretesa di annegare il contenuto sociale e anzi socializzatone della RSI, che ebbe difensori strenui, tanto per fare un paio di nomi, in Giorgio Pini e in Beppe Niccolai nell'innaturale, arbitrario, deformante identikit di «destra». L'apostasia di oggi si chiama berlusconismo. Quando nel 1994 il Cavaliere Azzurro piombò come un ciclone nell'arena politica per schierarsi in favore della candidatura di Fini alla sindacatura capitolina, il settimanale radical-chic "L'Espresso" uscì con una gustosa copertina nella quale campeggiava la cabeza di Silvio guarnita con un fez fascista. Invenzione giornalistica brillante ma infondatissima. È sufficiente un minimo di cultura storica e di buona fede politica per rendersi conto che fra il berlusconismo e il mussolinismo esiste un incolmabile abisso. E su ciò potremmo scrivere un saggio di trecento pagine, stracolme di prove provate tali da mettere a tacere chi vede (e vende) lucciole per lanterne e prende fischi per fiaschi. Qui restringeremo il tutto in una manciata di parole. Mussolini diceva: «Tutto nello Stato, nulla fuori dello Stato, nulla contro lo Stato». Berlusconi invece privatizzerebbe pure le latrine, naturalmente al fine di fare ingrassare i famosi «padroni del vapore», ossia la grande borghesia capitalistica.

Orbene, la onorevole Alessandra Mussolini è di fatto, checché ne dica, antimussoliniana dalla testa ai piedi proprio per il fatto di avere dato alla propria militanza una caratteristica di oltranzismo filoberlusconiano. L'avvenente Signora ha, naturalmente sotto il profilo spirituale, la doppia tessera; anzi, se proprio ce la vogliamo dire tutta, la sua sola, vera tessera è quella della formazione dei Previti e dei Dell'Utri. Se così non fosse, non si sarebbe esposta in modo tanto discutibile e inelegante nell'ultima assise di AN, sia con l'intervento alla tribuna che con il voto; mentre sarebbe stato moralmente e politicamente doveroso sostenere e suffragare colui che, fino a prova contraria, è il leader del suo partito, messo violentemente in discussione da quegli autentici sicari e quinte colonne del ras di Arcore di cui non è il caso di fare i nomi, essendo da tutti conosciuti sia dentro che fuori il partito neo-badogliano.

Egregia onorevole, se ciò lo diciamo noi che vediamo Fini e il suo movimento biancoceleste come il fumo negli occhi, può ben crederlo.

Non sappiamo se gli studi di medicina e la purtroppo deludente professione di attrice cinematografica -non basta essere la nipote della Loren per essere la Loren!- le consentirono la fruizione del tempo necessario e sufficiente per leggere qualche libro di storia e di politica, relativi, soprattutto, all'epoca del Nonnissimo. Paventiamo il contrario e pertanto le elenchiamo alcune parole d'ordine dell'Inquilino di Palazzo Venezia che, all'epoca, unitamente a tantissime altre, comparivano nelle strade italiane e sulle facciate delle case rurali.

Queste, per esempio: «Il lavoro soggetto e non oggetto dell'economia»; «Noi tireremo dritto»; «È l'aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende»; «Andare verso il popolo, per stare con il popolo»; «Italia proletaria e fascista, in piedi!». Et coetera, et coetera, et coetera...

Onorevole Alessandra, è proprio sicura di essersi ispirata certo, mutatis mutandis; e,almeno, in parte, a questa precettistica? Fossimo al suo posto, eviteremmo accuratamente il giuramento.

Ma il mussolinismo non è solo una serie di «comandamenti»; è anche, è innanzitutto, una dottrina, che considerata nella sua dinamica storica e negli sviluppi e approfondimenti di pensiero, si proietta prima e oltre il Ventennio diarchico per abbracciare altri periodi diversamente caratterizzati della vicenda mussoliniana. Eccoli: la direzione in Forlì de "La lotta di classe"; la vittoriosa battaglia antiriformista nel congresso socialista di Reggio Emilia del 1912, sfociata nella conquista della egemonia massimalista nel PSI; l'agitazione socialista alla direzione de "l'Avanti!" a Milano; la scissione interventista dal PSI e la fondazione de "Il Popolo d'Italia", «quotidiano socialista»; la trasformazione del predetto giornale in «quotidiano dei combattenti e dei produttori»; la organizzazione dell'interventismo «sovversivo»; il sansepolcrismo nazionale-popolare; il Ventennio fascista con il PNF e le sue correnti conservatrici e rivoluzionarie; la RSI e il Manifesto di Verona; la RSI: Socializzazione, Costituente, Nuovo Ordine Europeo fondato sulla pari dignità delle Nazioni, sulla autogestione dei popoli, sulla giustizia sociale, sull'accesso paritario alle ricchezze del mondo; pacificazione nazionale e dialogo della RSI con tutte le forze popolari comunque ideologicamente ispirate e organizzate al fine della edificazione dello Stato Nazionale del Lavoro.

Gentile Signora, Ella ben comprende che tutto ciò fa a pugni con la vulgata ultraborghese, ultracapitalista, ultraegoista, ultraindividualista, ultraoccidentalista, ultrareazionaria, ultratlantica di Sua Emittenza il Cavaliere Silvio Berlusconi. Di più: come prima si diceva, essa è la negazione totale e assoluta di Mussolini, del mussolinismo, dell'ala rivoluzionaria-bertoricciana del PNF, del «fascismo movimento», della Repubblica Sociale Italiana.

Lei fino ad oggi si è completamente identificata col berlusconismo. Questa la sua grave colpa umana, ideologica, politica.

Immaginiamo -ci smentisca ove dovessimo andare errati- che con ciò Ella ha salvato la sua «visibilità», come oggi orrendamente si dice, sulle Reti Mediaset e sulla stampa quotidiana e periodica perennemente ubbidiente ai segnali lasciati dalle ville hollywodiane disseminate dal capo delle destre italiane lungo tutto l'orbe terracqueo.

Tuttavia questo tipo di salvezza non è sufficiente.

Infatti, stringi stringi, alla fine è sempre l'anima che vale la pena di salvare. Ma Ella, dal momento in cui ha messo il suo aggraziato piedino in quella che il Nonnissimo si compiacque di chiamare «aula sorda e grigia», nulla, assolutamente nulla, ha fatto per metterla al riparo dalle distruttive tentazioni della «immagine», della pubblicità, del potere (e sia pure di un potere della opposizione e nella opposizione), della politica comechessia, della politica fine a sé stessa e di altre consimili diavolerie.

È ora che si convinca di due cose, esimia Signora:

a) della impossibilità di servire in contemporanea Dio e Mammona;

b) per riparare, restaurare, rettificare, modificare -per redimersi, insomma- il tempo c'è sempre. A patto, però, che, ovviamente, non lo si perda.

Si dia, dunque, da fare.

 

"Catilina"

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