«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VIII - n° 3 - 30 Settembre 1999

 

Quella mal... destra (Alleanza Nazionale)

 

 

 

Finisce l'estate. More solite, appena rientrano dalle vacanze dai posti più esclusivi, leader veri, presunti o aspiranti tali si rituffano nel dibattito e nella presunta polemica. Come per inerzia, per dovere d'ufficio. Par conditio, referendum, riforme elettorali, questione giustizia, amnistia per i reduci della prima tangentopoli.

Sembra una maledizione biblica. Un insopportabile dejà vu, monotono e ridondante.

Verrebbe voglia di scrivere d'altro, non fosse per l'esplicita richiesta pervenuta in queste settimane da alcuni amici di una riflessione sulla crisi e sulle prospettive del partito di Fini e della destra italiana. Mi e vi risparmio il benché minimo approfondimento relativamente alla Fiamma tricolore, non tanto per l'inconsistente peso elettorale e, soprattutto, politico di quel partito, quanto per rispettare la delusione della collega di redazione Isabella Rauti, erede designata al trono di Strasburgo dal padre Pino, beffata alle elezioni europee da un furbacchione cresciuto all'ombra del capo e da questi coccolato al punto da ottenerne la delega al totale controllo dell'organizzazione. Il neo parlamentare Bigliardo Roberto da Acerra (sic!), centrato l'obiettivo dell'unico seggio europeo toccato ai «fascisti» (sic! sic!), non contento della quarantina e passa di euromilioni che porterà mensilmente a casa, da buon giocatore di carte qual è, sta già puntando al cappotto, in altre parole a destituire il vecchio capo per trasformare il MS-FT da partitino a conduzione familiare ad un affare per pochi intimi. I soliti amici degli amici.

A vincitori e vinti di questa inutile disfida guardo con aristocratico distacco.

Torno, pertanto, alla prima questione: scrivere di AN, possibilmente mettendo da parte sentimenti e risentimenti, ferite non ancora rimarginate, talmente dolorose che neppure il fuoco della polemica, qualche volta ai limiti dell'insulto, è riuscito a lenire.

Epperò, mi prende una strana, incorreggibile, tenerezza nei confronti di qualunque potente caduto improvvisamente in disgrazia. In questo mutato contesto emotivo mi sono scoperto più tollerante nei confronti dei molti amici di quella parte politica che, per un motivo o per l'altro, non so bene quanto casualmente, ho incontrato in questi giorni. Dismessi gli atteggiamenti arroganti e supponenti, dirigenti e militanti (ammesso che si possa ancora usare tale definizione per iscritti a circoli e club) hanno indossato il saio dell'umiltà. Sono diventati timorosi ed incerti, timidi e rispettosi dell'altrui opinione, increduli della sconfitta elettorale alle europee, andata oltre ogni pessimistica previsione, con davanti lo spettro di sondaggi che non promettono nulla di buono per le regionali e disegnano la prospettiva di una stagione se non proprio di emarginazione -che suonerebbe come una beffa dopo le tante abiure- verosimilmente di marginalità politica. Sono dunque tornati a terra i nostri eroi. Persone piuttosto normali, con limiti e fragilità che la gloria effimera aveva fatto passare in secondo piano. In poco meno di un lustro si è consumato il grande sogno, digerita l'ubriacatura. Altro che centralità, altro che sorpasso nei confronti di Forza Italia, altro che prospettive di premiership per il leader di via della Scrofa. Tutto evaporato. In un modo tanto inaspettato e repentino da lasciare frastornati analisti, opinionisti, i tanti addetti ai lavori. Chi scrive non ha certo la presunzione di annoverarsi tra questi e tuttavia si lascia accarezzare da un pizzico di vanità per aver previsto e per tempo annunciata, come si può facilmente verificare sfogliando i precedenti numeri di questa rivista, la crisi di AN.

Tale crisi non può che essere analizzata tenendo conto di alcune fondamentali questioni.

1   - Il problema dell'appannamento dell'immagine di Fini (davvero grave per chi sull'immagine ha deciso di scommettere tutto, spesso a scapito della sostanza). Errori di valutazione, uno dietro l'altro. Fughe in avanti intempestive. Sbandamenti, ripensamenti. Non si tratta soltanto dell'ultima sciagurata scelta di allearsi con Mariotto Segni e con qualche radicale in cerca di autore, oppure dell'attuale feeling referendario con Di Pietro che gli procurerà ulteriori disavventure, quanto di un intero percorso politico, dalla svolta di Fiuggi ai giorni nostri. Insomma un capo che, dopo le prime difficoltà, da granitico diventa ondivago, provocando conseguentemente, sbandamenti e diserzioni nelle truppe. D'altra parte sarebbe ingeneroso addossargli tutte le responsabilità, soprattutto da parte di coloro i quali lo hanno sin qui osannato, vivendo -occorre dirlo- della sua luce riflessa.

2   - La contemporanea mancanza di un'alternativa seria e credibile all'attuale leadership di via della Scrofa. Problema di non poco conto dal momento che una crisi di queste dimensioni, se dovesse confermarsi anche alle regionali di primavera, avrà come sbocco obbligato il cambio della Presidenza del partito e della classe dirigente.

3   - La mancanza di una chiara e robusta linea politica, di quello che una volta si definiva «progetto», a meno di non volersi considerare linea politica la proposizione di un paio di referendum su finanziamento pubblico dei partiti e abolizione della quota proporzionale. Quasi che bastasse qualche centinaio di migliaia di firme raccolte e la proposta di una legge elettorale a definire obiettivi e strategia di una forza politica.

4   - L'avere investito tutto, all'indomani della svolta di Fiuggi, sulle «nuove» adesioni, facendo incetta, al centro e in periferia, di un ceto dirigente composto da politici, burocrati, qualche volta faccendieri, in gran parte ma non solo democristiani, in cerca di riparo durante il terremoto di tangentopoli e già intenti a rifare le valigie per approdare a più rassicuranti lidi.

5   - La superficiale disinvoltura con la quale, in questi anni, i vertici del partito hanno assistito alla diaspora di tante, troppe, energie, addirittura sollecitandola per rendere credibile questa o tal altra tappa del processo di trasformazione del vecchio MSI-DN in Alleanza nazionale.

C'è sconcerto in periferia. Tanto sconcerto. Viene quasi voglia di scrivere: finalmente.

Digerita l'ubriacatura e tornati a confrontarsi con una realtà nuovamente difficile, in tanti si chiedono: che fare?

Il cosiddetto dibattito interno langue e si trascina tra la quasi obbligata berlusconizzazione, con dinanzi lo scenario per nulla confortante del partito unico che in tali condizioni di subalternità non sarebbe nient'altro che un processo di annessione a Forza Italia e, dall'altro, la pesca delle occasioni di nuovi compagni di viaggio: ieri Segni, oggi Di Pietro, domani chissà.

Tant'è, le crisi non si esorcizzano, vanno affrontate e se possibile superate. Altrimenti si soccombe. Con dignità e con stile. Il che, nelle vicende della politica, vuol dire attraverso un congresso vero, di quelli che i partiti-azienda, sempre più americanizzati, non usano più. Un congresso che affondi il coltello dell'autocritica nelle piaghe delle scelte compiute per valutarne con franchezza e lucidità gli aspetti positivi e quelli negativi, le luci e le ombre: Fiuggi, Verona, la coccinella, l'elefante; i ripensamenti e rinnegamenti frettolosi; la questua a volte persino poco dignitosa di un invito nel salotto buono; i viaggi nei santuari del pensiero politicamente corretto; la vana attesa del lasciapassare per una visita in Israele...

La lista potrebbe continuare a lungo, meglio stendere un velo pietoso. Ad avviso di chi scrive, ci sarebbe bisogno di una svolta. Di un nuovo inizio. Forse, addirittura, di una vera e propria rivoluzione astrologica per tornare alla politica con la «P» maiuscola, ridefinendo i confini di una identità e diversità, che non significhino patetici ritorni al passato, ma che marchino differenze dalla attuale, sconcertante, omologazione della destra e della sinistra indistintamente liberal-liberiste. Una rivoluzione astrologica per comprendere che definirsi Alleanza «nazionale» significa contrastare, e non subire, la fin troppo evidente condizione italiana di paese a sovranità limitata; per non appiattirsi, in politica estera, sulle posizioni e sulle scelte americane anche quando non sono difendibili; per individuare nello strumento del federalismo, inteso come sintesi armonica ed unitaria delle differenze e delle diversità, una forma moderna ed efficiente di governo del territorio; per costruire una risposta non solo europea, ma anche mediterranea, alle questioni antiche e nuove con le quali si va confrontando questo fine secolo e millennio. Ho citato a scopo puramente indicativo alcune questioni tra le tante. Di certo, tornare a «destra» dopo aver ipotizzato e fallito lo sfondamento al centro non può essere una questione nominalistica, né geometrica. Per essere appagante e pagante in termini di consenso il percorso deve essere accompagnato da una svolta reale, sostanziale

Una «destra» che sappia parlare al popolo, che sappia essere presente con risposte vere là dove esplodono contraddizioni sociali, diseguaglianze insopportabili. Che torni alla centralità dell'«essere» sull'«avere», alla centralità dell'Uomo; che dia risposte ai suoi bisogni di libertà, di ordine, di armonia; che sappia difendere la vita da chiunque la mortifichi e prevarichi; che sappia accorciare la linea di demarcazione tra ricchezze smisurate e vecchie e nuove povertà senza esaltare ma senza neppure dimenticare le grandi lezioni del passato.

Che sappia, in definitiva, guardare avanti, oltre il contingente, oltre il transeunte. Oltre un'alleanza ed una tornata elettorale.

Se di questo fosse capace -ma è davvero difficile immaginarlo- la cosiddetta «destra» potrebbe diventare «attraente» non tanto per quel 40-50% di votanti che costituiscono il «mercato» elettorale cui una quarantina tra partiti e partitucoli stabilmente si rivolgono, quanto per la maggioranza degli italiani che a votare non ci pensano neppure, i quali potrebbero lasciarsi tentare e sedurre solo da un movimento capace di mostrare con fierezza la sua diversità, di camminare con coerenza e determinazione lungo la strada di un chiaro e definito progetto politico. «Costruire un pezzo di società cambiata». Tornare alle «opere e agli esempi». Senza inseguire soltanto la realtà, ma cercando di incidervi. Avendo pazienza, perché mai come in questa stagione gli scenari sono fragili e mutevoli.

Capisco, amici miei finalmente ridiscesi sulla terra, che queste riflessioni non si adattano ad una mal... destra AN, quanto piuttosto ad una forza politica che non c'è e di cui si avverte un grande bisogno. Ragion per cui vi rigiro provocatoriamente la frittata. Vogliamo provarci?

 

Beniamino Donnici

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