«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VIII - n° 3 - 30 Settembre 1999

 

Riflessioni sulla memoria perduta

 

 

 

Una delle caratteristiche salienti di questa nostra epoca, veloce ed affannata, è costituita dalla distruzione della memoria.

È, del resto, insito dell'evoluzione per così dire naturale dell'odierna civiltà l'avvento di un Sistema Unico ed universale senza più remore o vincoli col passato; proiettato com'è alla continua invenzione del nuovo, dell'ancor di più; così proteso a ricreare, a riprogrammare il modello d'uomo.

E l'uomo in carne ed ossa? L'uomo della quotidianità, succube della invadenza dei mass-media, dominato dalle certezze scientifiche e dalle sicurezze tecnologiche, l'uomo imprigionato nel circuito senza uscita del consumare-produrre-consumare? Ecco che costui, noi tutti, ci troviamo ad attraversare indifesi il lungo percorso della modernità. Convinti magari di stare al passo coi tempi. E che non bisogna distrarsi per non rimanere indietro...

La corsa al progresso, però, ci ha per un verso allontanati in maniera via via più drastica da tutto ciò che, in quanto trascorso, si è stabilito non valga più; dall'altro, ha operato uno sradicamento spazio-temporale generativo di insicurezza, solitudine, angosce.

Ne risulta un uomo à la page, ma sempre meno a suo agio con gli altri suoi simili; e sempre più incapace di trovare rispondenza fra ciò che è e ciò che vorrebbe essere. Ossia, incapace di prender parte ad un qualcosa che abbia e dia significato alla propria esistenza.

Ma la vita -e così il mondo e la storia- oltre che mutazione è continuità. E quest'ansia di futuro, questa sete di novità che percorrono il presente non avrebbero dovuto significare il diniego o il disconoscimento per altri riferimenti, per altri e diversi valori - quelli che si vogliono invece liquidare come solo appartenenti ad un oscuro passato. Poiché la civiltà, tutte le civiltà nelle loro specifiche fasi ed esperienze, sono il portato di un insieme di fatti, flusso ininterrotto di eventi e di idee, che -se li si vuole davvero (tentare di) comprendere- debbono essere osservati ed inquadrati in una visione stereoscopica... Di contro, come già accennavo, uno dei fondamenti dei tempi attuali risiede nella sprezzante ignoranza, spesso non disgiunta da fanatica insofferenza, verso il passato.

Indifferentemente, verso il passato. Inteso quest'ultimo non come unione indivisibile con il presente e con il futuro, bensì a questi rigidamente contrapposto.

Ma la memoria del passato è tutto. Essere senza memoria equivale a non essere, ché alla vita verrebbero a mancare gli essenziali requisiti dell'esperienza e del ricordo.

La memoria riposa nella natura stessa dell'uomo, ed è il suo perenne ripresentarsi a produrre in lei la spinta al superamento del passato e alla preparazione del futuro. Né senza memoria esisterebbe azione, confinata come sarebbe a consuetudine, meccanicità, alienazione.

Pertanto, tutte le espressioni creative dell'uomo trovano il proprio slancio vitale in questo suo raccoglimento, in questa sua necessaria manifestazione di intima libertà.

Contro la memoria collettiva ed individuale agisce il mondo moderno, con i suoi scienziati, i suoi economisti, i suoi opinionisti. Per far sì che gli esseri che questo mondo popolano siano emotivamente e culturalmente decerebrati, e perciò tecnologicamente affidabili e politicamente controllati.

«La memoria», dunque, figura per l'establishment dominante come un fastidioso residuo d'irrazionalità. Da estirpare, perché avente in sé un principio incoercibile alle nuove regole e convenzioni; perché irriducibile antagonista di ogni polizia del pensiero.

L'orrenda prospettiva di un'umanità anestetizzata dal Potere e priva di memoria storica, è un tema alquanto ricorrente nella letteratura cosiddetta fantascientifica.

Il viaggio di Winston, ad esempio, il solitario protagonista di «1984», nella periferia degradata della megalopoli alla ricerca del suo vero passato, rappresenta una splendida quanto agghiacciante parabola sui possibili, futuri nostri destini.

Non ricordare è infatti lo stadio massimo di abbrutimento. Non avere memoria comporta l'oblio di sé, per aprire la strada alle manipolazioni, al condizionamento più totale. Senza coscienza del proprio passato l'uomo è più autonomo, non è più soggetto, non è più uomo; esso si riduce ad una tabula rasa su cui il Sistema incide nuove identità teleguidate, e ricalcate sull'acquiescenza alle immagini ed alle apparenze più convenienti...

La memoria -questa la lezione orwelliana di 50 anni fa- resta il migliore, e forse unico, antidoto al Potere Assoluto dei nuovi tiranni.

Ha quindi ragione Maria Antonietta Macciocchi, magari senza troppo avvedersene, quando afferma ("Corsera", 19 agosto 1999) che: «II nostro sembra un Paese senza storia. Si ignora il passato, si truffa sul presente».

Il fatto è che non siamo i soli, noi Italiani. E la cosa non ci consola affatto.

 

Alberto Ostidich

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