«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VIII - n° 3 - 30 Settembre 1999

 

Intermezzo

Novanta giorni con me

 

 

 

22) Lydie è ancor più di sempre una gran donna. Riesce a divenire automaticamente amica delle persone, che sa essere mie amiche. Per esempio, a Otranto è morto un collega, amante della storia, intesa come rispetto della terra dove sei nato. Era un intellettuale timido e schivo, dalla sapienza sconfinata. Era malato di fegato, pur avendo vissuto come un monaco, senza un dito di whiskey. canzonavo la sua morigeratezza, ridendo della sua passione per diapositive e fotografie, da quel ricercatore che era. Sono corso a vederlo, là nella gelida casa sui bastioni della città fortificata e Lydie è venuta a consolare la Signora Vera. Piangeva per l'improvvisa perdita, anche lei; quasi più di me.

 

23) Mi sono sempre chiesto come faccio a scrivere così tanto, se leggo così poco. È evidente che vivo di vita autonoma, come una specie d'«intellettualeastro», autosufficiente. Questo può anche significare che penso e produco a senso unico, dunque ripetitivo, monocorde, come una sorgente di luce fissa, senza alternative possibili. Oppure, che scrivo a getto continuo proprio perchè, contrariamente ai satelliti, nulla ricevo dall'esterno ed il mio leggere è libertà creativa, unica, originale nel suo egoismo (sono in molti a farmene accusa) primitivo; tuttavia innocente.

 

24) Ho preso, per imperiosa necessità, l'abitudine di svegliarmi spesso durante la notte. Non è che mi riaddormento subito, facilmente. Cosicchè, ho modo di utilizzare questi spazi notturni, per riflettere intorno a cose che il giorno, con la sua luce, non evidenzierebbe. Sono cose particolarissime, che mi portano avanti e indietro, in lungo e in largo, qua e là per la vita, con una minutezza di analisi a posteriori, che fa del mio passato un continuo mosaico (sottotitolo ricorrente nei miei libri), le cui tessere sono -se m'è lecito giocar con le parole- il vissuto dimenticato. Insomma, in tal modo, vivo due volte; la notte è un tempo bis, aggiunto alla mia giornata normale.

 

25) Tutti pensano che, in questo grigiore architettonico, in questo petroso isolamento, mi annoio disperatamente. Invece, pianifico tranquillo il mio tempo e svolgo precisi programmi, con la dovuta lentezza. Per esempio, accendo le cinque stufe giapponesi quando è inverno; porto i sacchi delle immondizie casalinghe nel contenitore, posto in una stradina laterale. Dal bar della piazza, i paesani mi guardano, perplessi e rispettosi. Aggiungo le consistenti feci dei miei Terranova, ritiro i panni messi al sole. Mi sento guardato e non mi dispiace. A casa, metto la tovaglia, i piatti, le posate, i bicchieri per il pranzo e per la cena, puntualmente. Lydie non mostra meraviglia come i villici: per lei, il mio esser servizievole fa parte nel nostro vivere felici; non è un obbligo.

 

26) Ho voluto controllare sul campo le mie antiche virtù oratorie di affabulatore e di -perchè non dirlo?- ex-esperto sofista ad uso didattico. Andò bene: sono riuscito a parlare per cinquanta minuti, sempre all'Università della Terza Età di Maglie, sopra un argomento privo di possibili fonti documentarie: Amalasunta, la sfortunata figlia di Teodorico il Grande, morta strozzata in un isolotto del lago di Bolsena. Avevo qualche striminzita nota d'enciclopedia, ma la tragicità del personaggio e della sua vicenda mi ha permesso, come tanti anni fa, quand'ero un giovane professore pedagogicamente ambizioso, mi ha permesso d'incantare l'anziana classe. Fossero stati i liceali di oggi, chissà se avrei riportato un simile epidermico successo...

 

27) Gli occhiali per leggere e scrivere mi sono assolutamente necessari. Sarà forse per questo che non li trovo mai. Può darsi che sia l'intermittenza dell'uso, più che la dimenticanza, a produrre distrazione. Non ricordo dove li ho lasciati l'ultima volta, dopo aver scritto a lungo, nel limitato spazio del mio rifugio. Cosicchè, ho pensato di appenderli all'apposito cordoncino. Troppo facile trovarli; una necessità organizzata e funzionale; una troppo facile sicurezza, senza merito alcuno. Preferisco non aver nulla di attaccato al collo e ricominciare a cercarli, allegramente imprecando contro la perdita di tempo: tempo mio, tempo più che libero, tempo da sprecare, anche cercando gli occhiali, oltre che scrivendo.

 

28) Nel Meridione esistono giovani pieni di idee, di progetti originali. Li espongono con aria di rivincita. Il loro mediterraneo entusiasmo ti coinvolge. Insistono che la cosa è bella, interessante, fattibile. Poi, d'un tratto, scatta un meccanismo perverso e dicono: «Ne dobbiamo riparlare, passato l'inverno». O anche: «Ora ci sono i turisti, aspettiamo che se ne vadano». Altre volte: «Dopo il caldo, a settembre, vediamoci». Potrei continuare in uno stillicidio d'aggiornamenti e proroghe alternate. Le belle intenzioni iniziali sbiadiscono inesorabilmente dentro una palude di pigrizia, riassumibile così: «Non c'è tempo ...» Chiedo scusa; non è vero; è un vizio. Perciò, la storia del progresso qui si vendica di questa specie di bugia endemica.

 

Florio Santini

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