«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VIII - n° 4 - 30 Novembre 1999

 

Memoria - Archivio

 

Irredentismo del Carnaro

 

 

 

Carnaro martire e Zara la santa simboli mistici dell'italianità nell'amarissimo

Durante il 1919-21, sull'acredine materialista d'aggiotaggio tra il capitalismo plutocratico di Wilson e 3ª Internazionale comunista di Lenin, nell'Europa s'affrancò il primordio civile di Stato-Nazione che ebbe nello «Statuto della perfetta volontà popolare» della Reggenza italiana del Carnaro e nel «Natale di Sangue» fiumano il germoglio d'una nuova primavera politica per il Mediterraneo.

Qualsivoglia sillogismo venga al presente stimato idoneo ad illustrare, col parametro più consono all'autenticità dell'etica nazionale comunque trionfante nei raffronti sulle scelte d'avanguardia, l'affascinante dinamica dell'Impresa Fiumana (1919-1921) dev'essere anzitutto preceduto -rispetto al suo impiego- con la mondazione da quell'adombrante demagogia con la quale, proprio mentre il XX secolo è al suo fatale trapasso degli eventi che imposero a Gabriele D'Annunzio, ai molteplici compartecipi di tale gesta, ai legionari d'ogni provenienza ed agli irredentisti del Quarnaro e di Dalmazia, di ricalcare le scene europea e mediterranea affinché la Vittoria Italiana, alla conclusione della Grande Guerra (1918) e il susseguente sommovimento delle frontiere, non rimanesse mutilata da quel trattato di pace architettato e presentato a Parigi (7.2.1919) da T. W. Wilson, L. George e G. Clémenceau e con cui intendevano saldare (... liquidare!) il sacrificio di oltre 650mila nostri Soldati in grigio-verde caduti sulle diverse trincee del I conflitto mondiale, risoluzione che circoscriveva alle province di Trento e Trieste il riconoscimento d'italianità. In antecedenza, abbiamo già documentata l'azione dell'Irredentismo italico dell'Adriatico ("Tabularasa", Anno VIII, n° 3/1999) e distinto il momento in cui a Ronchi l'Impresa fiumana intraprese la sua epopea, ma è necessario specificare -per maggiore chiarezza sulla realtà della situazione politica italiana, europea e mondiale di quel tempo- che allora l'intera Terra fu tormentata dall'utopia subdola dei 14 punti rifiniti dallo statunitense T. W. Wilson (e presentati già l'8.1.1918 quale "Program for the Peace of the World") cosicché, mentre da una parte sostenne il metodo oligarchico di J. M. Keynes nell'applicazione della regola generale sull'occupazione, dell'interesse e della moneta, dall'altra garanti contemporaneamente alla plutocrazia yankee di Wall Street la sua costante penetrazione nel controllo più accentuato sulle finanze, sui mercati e sulla produzione d'ogni Paese di tutti i Continenti.

Pressoché, coeva a tale operazione del mondo capitalista, fu nei Paesi della Terra la ripercussione altrettanto devastante della controffensiva reazionaria della dittatura del proletariato, cioè l'eufemismo più usato per indicare la tirannide bolscevica imposta nella Russia non più czarista con la Rivoluzione d'Ottobre (1917) dai compagni Lenin, Trotzkij e Stalin che contrapposero alla liberal-democrazia (quella sovvenzionata dai trust finanziari di New York e di Londra, beneficiari in quella fase di speculazioni anche della metamorfosi dell'Equity e della Common Law in un'unica High Court dalla giustizia discrezionale) l'ipocrisia sempre più strumentale della dialettica marxista -o marxiana- per smantellare, a vantaggio dell'imperialismo della nuova URSS, la mondializzazione delle energie tentata dal capitalismo anglo-statunitense. Tale contromanovra fu sottile, tanto perspicace che penetrò con il volgere del tempo anche nei Paesi europei, aprendo la strada al fenomeno delle cosiddette crisi di coscienza «coltivate» con lo spartakismo di Rosa Luxemburg, l'esistenzialismo rivoluzionario di J. P. Sartre, l'analisi dell'uomo a una dimensione di A. Camus e che, in Italia, venne escogitata con la strategia neo-marxiana di penetrazione di A. Gramsci al fine di subentro del comunismo in ogni Stato soggetto ad un'economia capitalista più sofisticata.

 

Stato-Nazione. Forza Europea

Quindi, mentre i legionari di Ronchi marciarono su Fiume ed approdarono a Zara, il conflitto ideologico e politico tra la vulgata demo-liberale con il suo «revisionismo solidarista» a parole e il ricorso di Lenin alla Terza Internazionale (1919) per l'estensione della «rivoluzione comunista» in ogni Stato del mondo sintetizzò -è vero!- le caratteristiche del conflitto tra il materialismo capitalista e quello marxista, ma entrambi restarono audiolesi (per la loro insensibilità ai valori della Storia ed ai diritti dei Popoli) al Canto Novo dannunziano per l'Adriatico, quell'infelice Amarissimo in eterna evoluzione e così bene invocato: «O mare, o gloria, forza d'Italia, /alfin da' liberi tuoi flutti a l'aure / come un acciar temprato / la Giovinezza sfòlgori!».

Ma non fu soltanto la percettibilità di sentimenti per l'ideale di «Stato-Nazione» che germogliò in Europa, bensì l'illuminò -sullo specchio della coscienza- la potenza di volontà per equilibrare, con il Diritto e la Civiltà, il patrimonio delle Patrie attraverso la collaborazione tra le categorie imprenditoriali e quelle produttrici. Gli Stati europei al termine della Grande Guerra (1904-1918), vittoriosi o perdenti, ricercarono l'energia per il Rinascimento sociale attraverso le forze politiche aperte alle Rivoluzioni nazionali e per sottrarsi ad ogni degenerazione materialista.

Progredì per questo il nazionalismo emotivo di M. Barrès, quello repubblicano di C. Péguy, l'altro integrale di C. Maurras; vennero create le basi del falangismo spagnolo di José Antonio Primo de Rivera e quelle del rexismo belga di L. Degrelle.

 

Zolle ascetiche dal getto sano

Maturò soprattutto, e più incisivamente, il programma di S. Sepolcro (23.3.1919) a Milano -successivo di pochi giorni al discorso di B. Mussolini ai lavoratori di Dalmine- magnificante la prospettiva di quello Stato corporativo che il 21.4.1927, preceduto nel 1925 dalla battaglia del grano per l'autosufficienza dell'Italia nel mercato dei cereali e dell'agricoltura, aprì lo sviluppo articolato della Carta del Lavoro per la tutela di tutti i lavoratori e anche delle categorie imprenditoriali, mentre in Germania e nell'Austria il concetto unificatore di Vólkische Gedanke (proposito popolare) tra Nazione e cittadini nella realtà organica di un'unica comunità (la Volksgemeinschaft) trasse dall'esperienza napoleonica di J. G. Fichte nel XIX secolo il concetto edificante di Heimat (patria) quale terra d'elezione che più tardi Walther Darrè, con l'opera «Neuadel aus Blut und Boden» ("La nuova nobiltà di sangue e di suolo", 1939) esaltò, in qualità di ministro per l'Agricoltura e l'alimentazione del Terzo Reich, con l'ampiezza del valore di tale stimolo, coagulantesi nella supremazia del Pensiero (strumento di cogitatio, conoscenza logica) nell'Uomo responsabile.

Tra i quattro momenti che contrassegnarono le cronache sempre epiche dell'Impresa fiumana e -di riflesso- l'affrancamento italico di Zara (dopo la Marcia da Ronchi, ecco le trattative con Nitti, la costituzione della Reggenza del Carnaro e il Natale di Sangue) emerse quella continuità interlocutoria indicata da Gabriele D'Annunzio quando confermò alle genti del Carnaro e di Dalmazia come «Vittoria nostra, non sarai mutilata. Nessuno può frangerti i ginocchi, né tarparti le penne. Dove corri? Dove sali? La tua corsa è di là della notte», ben oltre le tenebre volute da Wilson e Clémenceau con l'istituzione del regno di Jugoslavia -il Kraljevina Srba, Hrvata i Slovenca- affidato alla dinastia serba dei Karadjordjevic, perché l'autentica aurora dell'Adriatico redento venne dal vitale concetto di Stato-Nazione insieme a quello di Terra d'Elezione (la Patria, sintesi monosemica tra l'homo e l'humus) fino all'accezione superiore per Fiume e Zara d'appartenenza all'Italia quale embrione maturato dalla Storia, sancito dalla spartizione dell'Impero romano in quello d'Occidente e d'Oriente, quando -nel 330 d.C.- trasferendosi a Bisanzio, Costantino stabilì l'Illiria adriatica nel limes imperli occidentale, fuori dal mosaico balcanico inerente gli slavi (sloveni, croati, serbi e bulgari) nonché i non slavi (valacchi, albanesi e greci). Questa precisazione di Oscar Randi per la Collezione Omnia nel 1929, con l'opera "I Popoli balcanico", venne preceduta da "Mistica-Patria" nel 1924 da Salvator Gotta che, collegandosi all'aristocrazia del Pensiero che unisce il sangue dell'Uomo all'humus della terra, confermò che «Noi siamo zolle viventi di Patria; in ogni zolla è il nostro germe della gloria» evidenziando così per le genti istriane, del Carnaro e dalmate quanto esse modulavano, cioè «Noi siamo materiati di Patria: che ci ha dato sangue, carne e cervello, come la terra dà frutti, umori e fiori», di quella Patria consacrata col Leone di San Marco anche a Pola, Sebenico, Spalato, Trau e Zara.

 

All'ordinamento per l'olocausta

D'altronde, tali opere stileggiano su quanto -invece- in materia presentò, quale diario di legionario e di squadrista, Ennio Angelini per la sua «partecipazione militata» su Gabriele D'Annunzio e l'Impresa Fiumana (1939) che con l'Alalà! scandito dalla giovinezza combattentistica reduce dall'Ortigara, Cima Grappa, Montello, Piave, Gorizia e il Carso fece ritornare alla Patria italica quanto l'imperatore Costantino sancì, già due millenni or sono, sull'appartenenza del bacino adriatico all'Occidente romano e latino, con l'Olocausta (Fiume) e l'intera sponda dalmata.

Troppi ricucitori e contraffattori di quell'epoca però, tutt'oggi insistono a restringere, a limitare storicamente l'azione e la protesta del vate di Pescara, dei suoi collaboratori e dei legionari (con D'Annunzio nel Carnaro vennero anche Giovanni Giuriati, Luigi Rizzo, Enrico Millo, Luigi Corrado, Alceste De Ambris, Guglielmo Marconi, ecc.) soltanto alla mutilazione della vittoria italiana nel 1918, ma esperita dai cosiddetti alleati per realizzare nei Balcani l'influenza oppressiva della plutocrazia di New York, Londra e Parigi perché, già allora, il Vecchio continente (mediterraneo, latino e aperto al rinascimento nazionale e sociale) intendeva distinguere la sua identità politica dalle sopraffazioni di qualsiasi materialismo. Infatti, allorché il Comandante fece issare in piazza Dante di Fiume (12.9.1920) il gonfalone purpureo della Reggenza italiana del Carnaro -ornato di nastri tricolori e fiumani- il suo capo di gabinetto Alceste De Ambris presentò "Lo Statuto della perfetta volontà popolare", che disponeva la formula regolamentare della deliberazione collettiva («Statutum et ordinatum est», è statuito e ordinato) a conferma della dizione dannunziana puntualizzante che la passione di Fiume sopravviverà trasformata in splendore, la costanza di Fiume sopravviverà trasfigurata in folgore. Prima E. Angelini, nell'opera innanzi citata, e altrettanto Adolfo Giulietti in "Disobbedisco (Vicende dell'Impresa fiumana)", edito nel 1935, sono entrambi rigorosi nel ribadire che quel documento fu preclaro nello specificare il triplice diritto di Fiume all'italianità, cioè la sua funzione di estremo custode italico delle Giulie (prerogativa storica), la continuazione dell'originaria Tarsatica situata dinanzi la testate australe del Vallo liburnico (privilegio terrestre), di essere stata Olocausta -superando qualsiasi patimento- per il giusto principio di scegliersi il destino (spettanza umana) vanificando così qualsiasi pretestuosa contestazione.

Quindi, non disobbediamo a nessuno -localizzò D'Annunzio- perché obbediamo all'amore.

 

Quel Natale di sangue

Questa fedeltà del Carnaro per l'Italia però, subì l'affronto di G. Giolitti e di C. Sforza che col trattato di Rapallo (12.11.1920) si sottomisero al riconoscimento slavo d'italianità soltanto per Zara e alcuni isolotti, cedettero l'intera Dalmazia ai Karadjordjevic serbi e abbandonarono Fiume e il suo distretto alla condizione negletta di Corpus separatum dalla Patria latina, per cui D'Annunzio, i suoi legionari ed i fiumani ribadirono insorgere e risorgere, perché se è necessario vivere, Fiume non vorrà vivere se non nello splendore della bandiera d'Italia; e se è necessario morire, Fiume non vorrà morire se non crocifissa alla bandiera d'Italia.

Questo fu il Disobbedisco! della Reggenza del Carnaro all'ultimatum del gen. Caviglia e delle truppe regie di abbandonare Fiume alla folle condizione di statarello cuscinetto tra l'Italia vittoriosa e lo Stato artificiale (la Jugoslavia) composto da Wilson e Clémenceau. Poi venne il Natale di Sangue (1920) per Fiume, cioè «lo sfogo di tutte le forze rinnegatrici che avevano boicottato la guerra, favorito lo sviluppo del sovversivismo e sottoscritto ogni umiliazione e ogni rinuncia» (pag. 203 dell'opera citata di E. Angelini) tanto che «per questo, e non per necessità, venne organizzato il fratricidio».

Al termine delle cinque giornate di quel Natale cruento, combattute dai legionari per Fiume italiana, 24 furono i loro Caduti (oltre 60 quelli dell'intera Impresa) e 4 i civili, mentre i feriti complessivi superarono le duecento unità. Il 31 dicembre, al cimitero di Cosala, D'Annunzio ed i legionari «elevarono un Alalà Funebre a tutti i Caduti e sulla Città assassinata», l'Olocausta così liberata dall'incubo dell'Ignoto. I governativi ebbero 25 morti. A Zara la Legione mista del Carnaro aveva intanto adempiuto alla sua missione.

Seguì in quel giorno anche l'applicazione del patto di Abbazia e nel gennaio 1921 D'Annunzio ed i legionari lasciarono Fiume, che già il 31 ottobre 1922 ottenne dal primo governo di B. Mussolini la nomina del gen. Giardino (il difensore di Cima Grappa) a governatore provvisorio e il 27.1.1924 l'accordo con la Jugoslavia per la redenzione all'Italia. Fiume, il Carnaro e Zara -dopo tante sofferenze- conquistarono così la redenzione alla Patria, la libertà nell'Adriatica e il ritorno alla Civiltà mediterranea.

 

Bruno De Padova

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