«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VIII - n° 4 - 30 Novembre 1999

 

Un onorevole ritratto per l’Italia di oggi

 

 

 

Affisso sui muri di Venezia, è apparso in questi giorni un manifesto dove si dà notizia di un pubblico convegno promosso dall'Udeur. Tra i relatori, l'on. Franco Rocchetta.

II nome, ai lettori extrapadani di «Tabularasa», forse non dirà un granché. Ma a noi, suoi coetanei e concittadini, quell'illustre presenza al meeting mastelliano è in grado di comunicare emozioni non ancora sopite.

Franco Rocchetta, difatti, non è uno qualunque. Dalla sua, egli ha un curriculum politico di tutto rispetto: dalle giovanili frequentazioni in Ordine Nuovo e nei Cattolici Tradizionalisti, alla prima maturità trascorsa (alquanto anonimamente, a dire il vero) fra PCI e PRI -intervallata, pare, da un excursus socialdemocratico- fino al decisivo approdo alla Liga Veneta.

Di qui il salto di qualità. Sbaragliata ogni concorrenza (via, via: i soci fondatori della Liga; via i primi due parlamentari nazionali, Tramarin e Gerardi; via l'altra metà del gruppo consiliare alla Regione Veneto, ossia E. Beggiato), il Nostro, grazie all'unione con la pasionaria Marilena Marin (in Rocchetta sul finire degli Anni Ottanta), diventa padrone assoluto del partito -un partito ormai in crescita- prima di dover a sua volta passar la mano al «traditore» F. Comencini, già federale rautiano in quel di Verona.

Ma, sino ad allora, il sodalizio politico-familiare funziona alla grande. Consiglio comunale per lui, a Venezia. Per lei a Conegliano (TV). Deputato lo sposo, eurodeputata la sposa. Eppoi entrambi congiuntamente eletti in Regione, a furor di popolo veneto. Sono davvero anni d'oro. Paludati ambienti accademici accreditano l'on. cons. Rocchetta di studioso ed esperto di veneticità. “II Gazzettino” gli apre le pagine culturali per una rubrica sua personale in sessanta e più puntate. E puntano su di lui, sempre più scopertamente, gli ambienti clerico-industriali vedovi della dicci veneta... Non c'è, del resto, argomento «Veneto» -economia, storia, lingua, tradizioni- che non lo veda assiduo protagonista in TV e sui giornali.

Persino il vezzo di esternare in un italiano mixato da dialetti locali e d'inventarsi neologismi pseudo-veneti, gli vale la rispettosa attenzione dei mass-media, che ne fa oggetto di studi, approfondimenti, dibattiti. Le luci della ribalta sembrano non doversi più spegnere su di lui e la sua signora...

Sino al fatale divorzio fra Umberto Bossi (: «Farabutto!», «Vigliacco!») e la coppia Rocchetta Marin (: «Miserabili!»), nel frattempo civilmente separatasi, ma ancora cristianamente unita anche nella cattiva sorte. Potrebbe questo essere l'epilogo naturale di una parabola leghista. Di una vicenda umana, cioè, appartenente a pieno titolo alla microstoria del leghismo italico, con le sue periodiche sbronze collettive e le tante risse da cortile.

In questi 4-5 anni, peraltro, Rocchetta -occorre dargliene atto- le ha provate tutte, per tornare in auge. Fonda la «Nathion Veneta», prontamente affondata. Tenta l'aggancio con AN, che dopo un po' provvede allo sganciamento. Si proclama portavoce dei serenissimi scalatori del campanile di San Marco, e vien lasciato a terra. Si apre faticosamente un varco nel Movimento Nord-Est di Cacciari & C., che scompare con la repentina scomparsa del Movimento dalla geografia politica... Dunque, il nostro baby-pensionato (cumulativamente di Camera e Regione) non si rassegna all'inattività, e pare in procinto di lanciarsi in una nuova avventura nel Gran Circo della politica-avanspettacolo.

Certo, passare dall'irredentismo veneto, dal «Roma = Mafia», o dal «Fora i terroni dal Veneto» alla corte di Re Clemente da Ceppaloni, il passo è assai lungo. E potrebbe far inciampare persino un esperto passeggiatore quale il nostro funambolico Franco.

Comunque sia, e comunque sarà, devo ai miei quattro pazienti lettori una spiegazione per averli così a lungo trattenuti su questa storiella.

Il fatto è -o a me sembra- che il caso-Rocchetta continua puntualmente a replicarsi. Ovunque ed in ogni stagione, con ripetute rappresentazioni. Le quali vedono, sì, un progressivo calo di pubblico votante, e tuttavia sempre pagante.

Tali repliche -dicevo- hanno aspetti forse meno virtuosi del caso in questione. Magari si danno sotto sigle diverse, e con attori meno fantasiosi del Nostro. Ma i nomi di Diego Masi, Rocco Buttiglione, Mariotto Segni, e via ridendo, sono lì a testimoniare e suggerire ai meno distratti spettatori che la recita, nel Circo di cui sopra, è sempre la stessa.

Con alcune varianti -ben s'intende- come il duo gandhiano Pannella e Bonino, famoso per aver pubblicamente messo in scena la poco gentile richiesta di maggiori bombardamenti NATO in Serbia. O con il varietà offerto (resto dalle mie parti) da chi, rieletto alla carica di primo cittadino della sempre più disneylandizzata città lagunare, aveva dapprima dichiarato urbi et orbi la propria indisponibilità ad una seconda candidatura (ammenocché non glielo avesse chiesto Berlusconi in persona, oppure solo se ci fossero stati i nazisti alle porte della città, N.d.R.); poi superate, con notevole sprezzo del ridicolo, le personali riserve, aveva garantito che mai e poi mai lui avrebbe fatto il sindaco a mezzo servizio e a mezzo termine. In conclusione, la barbuta soubrette -stanca di battere e ribattere il teatro comunale- dopo essersi fatta eleggere al parlamento di Strasburgo fra gli asinelli, si appresta a concorrere per il posto di primadonna sul palcoscenico del Veneto...

E c'è pure la grande compagnia di guitti, costituita dagli ex-PCI ora DS, ché del tutto dimenticata la parte, a lungo svolta anche con dignità, si offre per qualsiasi ruolo la possa deodorare dagli afrori populistici del passato.

E ci sono, sull'altro versante, gli ex-MSI ora AN, i quali -nello spazio di appena un lustro- si sono ritrovati a recitare da proporzionalisti e da bipolari, da garantisti e da forcaioli, da sociali e da ultraliberisti, da americanofili e da nazionalisti... e che se un tempo facevano i picconatori di complemento, sfilando per le vie di Milano in guanti bianchi a servizio di Mani Pulite; o manifestavano davanti a Montecitorio al grido di: «Ladri!», oggi, di fronte alla beatificazione di Andreotti, all'amnistia in arrivo per Tangentopoli e al ritorno di Craxi, si preoccupano, distinguono, precisano.

I tempi, si sa, cambiano. E con essi le rivendicazioni, gli sdegni, gli ideali. Ma cambiano soprattutto i referenti, i padrini e gli alleati. E AN non ha certo voglia o l'interesse, e neppure la forza, per chiamarsi fuori da questa classe politico-affaristica, forse la peggiore che l'Italia nata dalla Resistenza abbia espresso.

 

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... Come i lettori ben sanno, si potrebbe a lungo continuare su tale versante.

Voglio dire: tutti questi «eletti dal popolo» -di cui Franco Rocchetta va considerato elemento fra i più rappresentativi- andrebbero messi in stato d'accusa per abuso della credulità popolare, dichiarati colpevoli di ripetuti attentati al comune senso del pudore e quindi condannati, quantomeno, all'oblio.

Ma non accade propriamente così. Né credo ad una reale contrapposizione fra Paese reale, appunto, e Paese legale.

Per restare in tema, credo piuttosto che ogni Paese abbia la classe dirigente che si merita.

A sostegno del secondo dato tra i due luoghi comuni, potrà bastare una breve ricerca sociologica sul «comune senso del pudore». Che comune non è affatto, dato che il pudore risulta ormai appannaggio di una minoranza.

Non mi riferisco, evidentemente, soltanto all'esibizione gratuita di cosce e glutei, al di fuori dei luoghi a ciò deputati (oltre a tutto fastidiosa, se quelle parti, non sono riconducibili a corpi giovani ed armoniosi, e possibilmente femminili).

C'è, di peggio. Come quei politici che in TV ballano, cantano, raccontano barzellette o che, per «bucare lo schermo», indossano jeans antistupro e magliette boia-chi-molla (Poi ci si meraviglia -ha commentato qualcuno- se sono i comici a voler fare politica).

E c'è ancora di peggio al peggio, con l'aggravante dell'anonimato. Quelli che, durante i servizi TV sui luoghi dei disastri, fanno ciao-ciao dietro un compunto speaker. O quelli che mesi or sono, ripresi dalle telecamere presso la base di Aviano mentre assistevano ai decolli ed atterraggi dei bombardieri, ridevano.

 

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Il popolo, d'altronde, vuole democraticamente partecipare, meglio se in diretta.

E “Carramba”, “I fatti vostri”, “Maurizio Costanzo show” sono lì, a sostenere queste esigenze di partecipazione e di esibizione. Di madri piangenti sotto l'attento occhio del cameraman. Di coppie che si rinfacciano addosso il livore quotidiano. Di squadre femminili di atee contro credenti. Di uomini e donne che confessano come, quando e quante volte lo fanno. «Casi umani», che servono a «combattere i tabù» e ad edificare la nuova morale collettiva. Del resto, non occorre accendere la tivù ed assistere a questi show, ad acquistare in edicola periodici tipo «Novella 2000», per accorgersi che la gente parla di sé e della propria vita intima in termini sino ad ieri impensabili.

Negli scompartimenti dei treni o nelle sale d'aspetto, si sentono trattare per telefonino le questioni più delicate. Fidanzate che minacciano ad alta voce lui di lasciarlo per sempre o, a seconda dei casi, gli promettono una serata di sesso sfrenato. Si sentono madri di famiglia discettare tranquillamente delle proprie mestruazioni, come un tempo avrebbero fatto riguardo ai lavori ad uncinetto. E sempre più spesso nei ristoranti, negli uffici, nei bar, per strada ci si deve sorbire la descrizione dettagliata di disturbi digestivi, di stipsi ostinate, di prognosi infauste.

Della generale scomparsa del pudore dalla nostra società, i Vip sono stati antesignani.

Già, i Vip. Non contenti di farsi ammirare ed invidiare, ora vogliono anche farsi compatire. E giù con le lacrimevoli confidenze in esclusiva a “Stop”, giù con lo svelamento di indicibili sofferenze a “Gente”. Oltre che le proprie fortune, i Vip esibiscono tormenti, storie nascoste, nevrosi, in un vortice di voluttà di essere sempre al centro dell'attenzione.

Chapeau. I Vip riescono a coinvolgere nelle loro celebrate vicende, trasognate commesse da un milione al mese. Sono voracemente seguiti da impiegati del catasto, che si identificano in politici di successo dalle sei ville in Costa Smeralda. Da sportivi cassintegrati, adoranti per una mezz'ala multimiliardaria. Da casalinghe voluttuose di fidanzamenti, rotture, matrimoni, relazioni omo e bisex da parte dei loro beniamini altolocati...

Sono loro, i Vip, ad esser riusciti -quasi senza volerlo- a sopire l'odio di classe, ad intorpidire le rivendicazioni sociali, ad appianare le ideologie, a banalizzare i sentimenti....

Rocchetta torna! Quest'Italia ti aspetta.

 

Alberto Ostidich

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