«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

 

postato in internet, Giovedì 30 marzo 2006

 

6° ANNIVERSARIO
30 marzo 2000 - 30 marzo 2006


In ricordo di un eretico
Antonio Carli, sei anni dopo la morte


La irridemmo insieme e più volte la corteggiammo; poi l'impudica megera lo falciò impietosamente.
Sei anni fa.
A noi piace ricordare l'eretico e l'uomo di milizia Antonio Carli come erede spirituale di Beppe Niccolai e di quel Fascismo rosso, rivoluzionario ed anarchico proprio della "loro" Toscana.
Rivendicammo insieme il diritto alla follia ed insieme ripartimmo da "Tabula Rasa".
Stammi bene canaglia. Ci rivedremo all'inferno


Paolo Signorelli



 

Antonio Carli


Lo voglio ricordare così.
Una sera d'estate passò dal "Piccadilly" Panariello, che è di quelle parti, per chiedere una stanza. Lo fece, da sbruffone, alla stessa maniera con cui interpreta i suoi personaggi.
Antonio che vestiva la divisa di direttore d'albergo come quella della RSI, dopo avergli dato un occhiataccia di traverso gli stampò in faccia un bel «no». Gli disse, insomma, che non gliela avrebbe data.
Il comico cambiò immediatamente espressione. Annichilito da quel rifiuto che lo colpiva come uno schiaffo a mano piena, diventò per incanto rosso di rabbia. Una rabbia sorda, trattenuta, da ingozzare, la peggiore. Quella che gli suggerì il momento e il Carli.
Trascorse una manciata di secondi poi dopo aver farfugliato qualcosa, Panariello voltò le spalle al bancone e se ne andò, gesticolando ad alta voce.
Antonio intanto puntando l'indice della mano al suo indirizzo, lo rincorreva con un... fuori, fuori di qui... di clown... non ne vogliamo.
Naturalmente la cosa non finì a quel punto. Il comico andò a lamentarsi dal proprietario.
Una settimana più tardi... il Bernardini dopo un... lungo giro di parole... chiese al Carli se Panariello fosse passato dall'albergo. «Si» ... rispose il Carli. E tutto finì lì.
Panariello oltre a dare del «tu» a tutti, aggiungendoci spesso delle gag, più sopportate che gradite, parteggiava, politicamente, per un assessore forchettone di Viareggio. Ad Antonio bastava ed avanzava per averlo di traverso.
Italiano di Smirne, parlava quattro lingue: turco, inglese, francese e tedesco.
Era un signor Direttore d'albergo con la passione delle lastre di alluminio, dell'inchiostro e dell'odore della carta appena stampata.
Giornalista, proprietario, direttore de "l'Eco della Versilia", prima e poi di "Tabula Rasa". Collaboratore e amico, inseparabile, per anni di Beppe Niccolai. Continuare credo non serva.
Parlava malvolentieri della sua lunga, sofferta militanza nel MSI. Era nella zona grigia dei ricordi. E lì rimaneva seppellita. Non aveva niente da reclamare nè sacrifici da rivendicare.
Voleva parlare di altro. Di gente da affiancare alla Redazione, di lavoro da fare per le spedizioni, di lettori da conquistare.
Rauti lo aveva fregato al Comitato Centrale con la guerra all' Iraq; quello che pensasse di Almirante e Fini và da sè.
Nella stanza di tipografia c'era sempre l'odore acido dei solventi, delle soluzioni di stampa che non serviva davvero a curare l'ulcera. Per curarla, diceva, serve un bel piatto di lumache lesse. Naturalmente scherzava. Conosceva perfettamente come stavano le cose.
Due mesi prima di andarsene era stato ad Haidelberg, come ormai faceva da tempo, ospite di camerati tedeschi che lo adoravano, ricambiati. Erano proprietari di un centro clinico omeopatico. Per anni, gli avevano scritto e telefonato invitandolo ad andare in Germania. Gli avrebbero fatto ponti d'oro.
Ha sempre detto di «no»... perchè c'era "Tabula Rasa" da portare avanti e l'archivio di Niccolai da sistemare.
Magnifica figura di combattente, di soldato politico.

Giancarlo Chetoni