«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

7° ANNIVERSARIO
30 marzo 2000 - 30 marzo 2007

 

 

"Rinascita", 22 marzo 2007


Irriverenza eretica antiborghese
La lezione dell'indiscusso erede di Beppe Niccolai


Antonio Carli e "Tabularasa"
 


Se in Italia, tra i tanti premi importanti che contano, come quello del miglior calciatore, della migliore velina, del più maleducato, fosse istituito anche quello della più grande faccia-tosta, il premio non avrebbe assegnatario.
Malgrado gli sforzi d'ogni giuria, non si riuscirebbe ad avere il nome del vincitore, l'unica certezza si avrebbe però sul genere, o specie, a cui affidarlo, tutti i giurati indicherebbero senza indugio l'indice sull'homo politicus italico.
Se fino a qualche tempo fa i più illusi potevano pensare di estromettere qualcuno dal tipo di premio in questione, gli eventi ultimi hanno disatteso le speranze di chiunque. Infatti c'è stato un avvicendamento tra i contendenti dal quale ne è risultata una insperata parità, tutti meritano la maglia del "faccia-tosta", il che non significa un qualunquistico: tanto sono tutti uguali (il che è sempre vero come privilegi conseguiti e assensi liberisti), effettivamente c'è qualcuno, che quando meno te lo aspetti, risulta diventare peggio dell'altro. In termini di recupero classifica, dei candidati in lizza, rifondazione, con al seguito neocomunisti e pacifisti, hanno avuto un recupero sorprendente, dopo il diversivo, la finta, della base americana di Vicenza, le marce contro la guerra, hanno sbalordito lo stesso Berlusconi, preoccupandolo al punto da proclamare: nessuno può essere più americano di me.
È una continua corsa alla normalizzazione, di smentite e asserzioni, un rassicurare la finanza e le ambasciate, un rincorrersi retorico di affermazioni e rettifiche, di una vastità così grande pari soltanto alla loro faccia tosta.
È per questo proponiamo un editoriale di Antonio Carli, una fotografia senza sconti del nostro presente.
È un articolo tratto da "Tabularasa" del giugno 1998, ricordando il settimo anniversario della scomparsa di Antonio Carli, indiscusso erede di Beppe Niccolai, entrambi voci autentiche di quella politica smoderata contro le ipocrisie democratiche.
Quando bastava poco per trovarsi eretico, loro, dell'eresia ne fecero uno stile, un grido senza mezzi termini e senza paura, raccolto, a mio avviso, degnamente soltanto dal mondo di "Rinascita".
Merito a Ricci, a Niccolai, a Carli e quanti vorranno ancora "delinquere" nell'irriverenza eretica antiborghese, dell'antiamericanismo, dell'anticapitalismo, per un sistema d'idee e del proprio essere, da cui far partire la consapevolezza per il "concepimento di una nuova società".
Con gran nostalgia per quel gran foglio toscano.
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Lorenzo Chialastri
confederazioneculta.org

 

da "Tabularasa" del giugno 1998

«È un'Italia scialba, pallida. Normale. La cui storia in questi anni, è quella dell'estensione democratica: una storia di apostasie, di diserzioni, di tradimenti. Sul rogo, le speranze ed i miti democratici. Gli invocati, gli aspettati, gli eletti sono divenuti degli oligarchi, dei despoti, dei traditori. Il governo dei moderati: la sentina di tutte le corruzioni, la radice di tutti i mali. Che prelude, amici lettori, alla nascita di un regime della tirannia identificabile in una rapace consorteria che riuscirà a concentrare tutto in poche mani gelose. In pieno accordo con la così detta opposizione che, a ragione dell'ignavia dimostrata nella breve esperienza di governo, si accontenterà di godere dei residui del banchetto, dilapidando definitivamente tutti i valori di cui si dichiaravano depositari e in nome dei quali, carpendo la buonafede di tanti imbecilli, riuscirono a raggiungere, immeritatamente, i vertici dei burleschi ordinamenti nomati pomposamente "istituzioni".
Tutto tace. Quiete e silenzio. Assente l'attrito delle idee, ci stiamo incamminando verso una funesta paralisi morale e politica.
Prevalgono gli internazionalismi, gli umanitari, i fautori della perpetua felicità. Sventolano, insieme, le bandiere dei moderati e dei rivoluzionari. Vigono, nella normalità, le transazioni ed i compromessi, i ricatti e le vendette, la tecnica del gesuitico patteggiamento che distoglie tutte le fedi, che diluisce le intransigenze, che mina le barriere. Tutto si concilia.
È positivismo. È connubio, è pragmatismo. Un filosofare che conviene mirabilmente ad ogni arrivista che vuole farsi accettare dall'indulgente mondo, grazie alla sua flessibilità, al suo ciarlare, al cinismo del successo. Le parole spirito, anima, idea, decadute a simboli barbarici, a detriti di una cultura oltrepassata. Le idee irrise, cacciate, inseguite, vessate fino all'estenuazione. Si è installata, trionfalmente, la concezione più borghese e più piatta, più tetra e più grigia, più normale e più burocratica dell'esistenza che si potesse immaginare. La superiorità dello spirito è pazzia, è avventura. La saggezza suprema sta nella pace, nella consuetudine, nell'usuale, nella tranquillità.
C'è uno stridente contrasto fra quell'Italia ideale fatta di grandi tradizioni, di grandi figure in cui una piccola minoranza ritrova sé stessa e le proprie radici, e quell'insieme dei piccoli uomini della "politica" che governa o che, fingendo, vi si oppone. Un governo lontano, come cosa distaccata e quasi aliena, rispondente ad interessi, abitudini e sistemi incomprensibili, se non addirittura repulsivi ed irritanti.
Ecco, allora, l'inutilità del presente se non riusciamo a credere nel possibile concepimento di una nuova società. Parole vuote ci hanno inondato per decenni: volontà popolare, masse, popolo.
Che non sono altro che simboli astratti. Infatti le conquiste politiche e le riforme sociali non si estraggono dalle masse amorfe, ma dalla volontà combattiva delle minoranze. Se accettiamo la democrazia come ordinamento, ne accettiamo anche la sua incarnazione in uno stato che realizza la schiavitù dell'uomo-consumatore all'uomo-produttore. Ovvero all'uomo che è cieco strumento del potere gelosamente conservato dalle mani di una ristretta consorteria.
Ed ecco, ancora, l'inutilità del presente se non riusciamo a capire che il potere è, per sé stesso, abuso di autorità. Perché l'autorità non può appartenere ad un "istituto": essa appartiene agli uomini.
Infatti, l'autorità di un "istituto" è, realmente, autorità degli uomini che quell'"istituto" reggono. È un convegno governato da alcuni uomini che intendono affermare il loro predominio. L'autorità esiste fra gli uomini in un ordine ad un fine sentito da essi come tale e che danno vita ad una società in cui lo spirito degli individui che la compongono e, quello spirito, manifestano. Fuori da questi limiti si può parlare solamente di un semplice fenomeno fisico: anche in una prigione si forma inevitabilmente una società, ma la prigione, come tale, non è una società.
E poiché tra i motivi sociali dell'uomo vi sono diversità di genere e di categoria, e nessuno può ritenersi genere e categoria di socialità, essa deve essere esplicitata nella pluralità. Ogni categoria comporta una funzione umana distinta, una gerarchia propria, una propria forma di autonomia e libertà.
Se proprio si vuole esigere una espressione che indichi una società ideale nel suo insieme, ciò che avviene per il gruppo di "Tabularasa", la si chiami pure corporazione-anarchica. In fin dei conti, il gruppo che si riconosce in "Tabularasa", lo sta da anni sperimentando. Ma forse ci stiamo un po' rammollendo.
Riprendiamoci tutta la nostra cattiveria, il mondo che ci circonda merita solo disprezzo».

a.c.