«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Internet,1 aprile 2000

 

Grazie Carli, non ti dimenticheremo mai!

Rasputin

 

Ieri, giovedì 30 marzo 2000, Antonio Carli se n’è andato, in silenzio. Ha solo chiesto una breve benedizione per la sua salma, che sarà tumulata domani sabato 1 aprile alle ore 16 nel cimitero di Viareggio, rifiutando la cerimonia pubblica. E noi, che ora abbiamo perso l’ultimo dei nostri punti di riferimento, rispetteremo le sue volontà.
Antonio Carli, direttore della rivista antagonista "Tabularasa", già "L'Eco della Versilia", era l’erede spirituale di Beppe Niccolai e di quel Fascismo rosso, rivoluzionario e anarchico nato nella sua Toscana. Nemico dei gerarchi e di quel regime degli orpelli e dei manganelli che riteneva sponsorizzato dal capitale e guidato dalla peggiore borghesia benpensante e moralista, Antonio Carli amava quell’Italia proletaria e fascista che osò sfidare i poteri plutocratici che gestivano il mondo. E soprattutto amava quell’Italia rivoluzionaria e trasgressiva che si opponeva ai potenti e, al tempo stesso, disprezzava chi viveva in funzione delle proprie ambizioni di potere.
Carli lottava per la giustizia e la verità nel nome del socialismo; ovviamente non il socialismo materialista che tende ad appiattire l’individualità ma il socialismo dello spirito dove s’incontrano giustizia sociale e veri valori della vita. Carli non amava i prudenti ed i plaudenti, quelli che vivevano per il potere o, peggio, quelli che utilizzavano sentimenti ed ideali per i loro sporchi interessi personali. Carli non ha mai fatto politica per appagare le sue ambizioni, per ottenere riconoscimenti e posti di rappresentanza nelle istituzioni o ai vertici del partito magari per manie di protagonismo, soprattutto non ha mai cercato il potere. No, lui ha dato tutto se stesso senza mai chiedere nulla in cambio. La sua è stata una vita di lotta e di sacrifici al servizio di una grande Idea. Carli ha rappresentato l’eccezione. Per questo è stato e resta un punto di riferimento per tutti noi che, chi più e chi meno, dobbiamo rendere conto alla nostra coscienza. Per questo è sempre stato un personaggio scomodo, rispettato e al tempo stesso temuto ma sicuramente non amato da quanti, politicanti di mestiere, invidiavano il suo idealismo e la sua onestà morale ed intellettuale.

Dieci anni fa, su L’Eco della Versilia, scrisse le seguenti parole:
«In un mondo di "savi" dove i più sono corrotti, dove le briciole saziano lo stomaco, dove niente ha più sapore, dove più nessuno guarda alle stelle in cielo e ai fiori sulla terra, dove non viene più accarezzata la testa di un fanciullo, dove il riso delle donne è scomposto ululio, dove le chiese non sono luoghi di preghiera ma d’incontro per precedere l’aperitivo al bar, dove l’amore è soltanto concepito come sesso, dove il quarantenne si preoccupa dei contributi pensionistici, ebbene, noi siamo. Pazzi».
Ed io così replicai alle sue parole:
«È vero che ogni valore è stato distrutto ed il mondo è stato trasformato in un grande supermercato, ma è anche vero che l’uomo non può vivere senza sogni e soprattutto senza sentimenti. E se l’uomo vuol vivere bene dovrà prendere coscienza che più vivrà rincorrendo le illusioni di questa vita, più soffrirà, più troverà difficile e doloroso distaccarsene. Con questo non intendo affermare che dobbiamo rifiutare la realtà in quanto tale, guai a perdere il senso della realtà: dobbiamo camminare sulla soglia, magari al limite del razionale, facendo attenzione a non lasciarci contaminare ma soprattutto a non fuggire dalle responsabilità. Per combattere il male, spesso anche quello che è in noi, dobbiamo essere consapevoli di ciò che ci accade intorno; nulla però ci può impedire di sognare nuove realtà, di prepararci ad una lenta trasformazione, di non avere più alcun timore dell'ignoto. Ed allora basta con l’autolesionismo. Senza più tristezza nei nostri sguardi incamminiamoci con entusiasmo, come le avanguardie sanno fare, verso nuovi sentieri; quei sentieri dell’evoluzione interiore che sicuramente Beppe Niccolai aveva intuito. Sì, sarà una strada dura, piena di lotte, di tentazioni, di sacrifici, ma se riusciremo a non sporcarci l’anima, sicuramente arriveremo al meraviglioso. Oltre questa realtà c’è la luce. Ne sono sicuro, lo sento».

Caro Carli, Tu ce l’hai fatta. Sei riuscito a non sporcarti l’anima ed ora finalmente sei nella Luce.
Ciao Antonio, grazie per quanto ci hai insegnato e perdonaci se noi non avremo mai la Tua forza e il Tuo coraggio.

Rasputin